La leggenda del pugilato, Muhammad Alì, nato come Cassius Clay nel 1942, è morto all’età di 74 anni nell’ospedale di Phoenix, negli Stati Uniti, dove era stato ricoverato per problemi respiratori complicati dal morbo di Parkinson che gli è stato diagnostico negli anni Ottanta e contro il quale il pugile aveva intrapreso una difficile lotta.
Muhammad Alì aveva vinto l’oro Olimpico ai Giochi di Roma nel 1960 e come pugile professionista aveva detenuto il titolo mondiale dei pesi massimi dal 1964 al 1967, dal 1974 al 1978 ed ancora per un breve periodo nel 1978, poco prima di iniziare la sua battaglia contro il morbo di Parkinson.
L’ex Cassius Clay commosse il mondo apparendo come ultimo tedoforo alle Olimpiadi di Atlanta del 1996; in quell’occasione gli fu anche riconsegnata la medaglia d’oro vinta a Roma nel 1960, poiché pare che abbia gettato l’originale in un fiume come gesto di protesta verso il suo Paese e discriminazione razziale dove al suo ritorno dopo la straordinaria vittoria romana, un ristoratore si rifiutò di servirlo perché nero.
Uno degli elementi che ha più caratterizzato la carriera di Alì è il suo stile di combattimento, basato su su un notevole gioco di gambe, atto a consentirgli una elevata dinamicità, prontezza di riflessi nello schivare i colpi degli avversari e velocità esecutiva nel finalizzare l’attacco, un metodo di combattimento che è quasi impossibile da riprodurre per i pugili della sua stessa categoria. Pungi come un’ape, vola come una farfalla, questo era solito dire il carismatico pugile a proposito del suo stile.
Non è solo la sua straordinaria tenacia e maestria sul ring che hanno reso famoso Muhammad Alì, ma a dargli prestigio è stato anche il suo impegno nelle battaglie per i diritti civili e nelle lotte che ha intrapreso a favore della comunità afroamericana: fecero particolarmente scalpore, infatti, le sue decisioni di convertirsi all’Islam nel 1964 dopo essersi avvicinato ad una moschea ed agli attivisti della Nation of Islam, il movimento musulmano per i diritti dei neri guidato da Malcom X ed il suo rifiuto di combattere nella Guerra del Vietnam, gesto che gli è costato la carriera dato che lo portò al ritiro della licenza da parte delle commissioni atletiche pugilistiche statunitensi, decisione che il pugile giustificò dicendo: Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro.
Numerosi i riconoscimenti che ha ottenuto: è stato eletto Fighter of the year dalla rivista statunitense Ring Magazine nel 1963, 1972, 1974, 1975 e 1978, mentre la International Boxing Hall of Fame e la World Boxing Hall of Fame lo hanno riconosciuto fra i più grandi pugili di ogni tempo.
Detiene anche i prestigiosi titoli di Sportman Of The Century per Sports Illustrated, Miglior Peso Massimo di sempre per The Ring e secondo miglior pugile di sempre per ESPN.com.
Oltre a questi riconoscimenti in campo pugilistico, è stato scelto dalla rivista TIME come una delle 100 persone più influenti del XX secolo nella categoria Heroes And Icons, unico sportivo insieme a Pelé e Bruce Lee ed inoltre è uno dei pochi sportivi statunitensi ad aver ricevuto la Medaglia presidenziale della libertà. Nel 1974 è stato premiato dall’Associated Press come atleta maschile dell’anno.
Dio si è venuto a prendere il suo campione. Lunga vita al più grande, così Mike Tyson ha ricordato su Twitter Muhammad Alì. Ha scosso il mondo, e il mondo è migliore per questo, per questo siamo tutti migliori, così saluta invece la leggenda del pugilato il Presidente Obama e dappertutto arrivano messaggi di cordoglio per questa perdita.
Mercoledì ci sarà una cerimonia privata con la tumulazione del pugile, mentre i suoi funerali si terranno giovedì nella sua città natale a Louisville, nel Kentucky, dove Muhammad Alì ha vissuto anche gli ultimi anni della sua vita a fianco della sua quarta moglie Lonnie, figlia di due vecchi amici dei suoi genitori.