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Crisi, tornano in uso le cambiali

Crisi, tornano in uso le cambiali

Ben quattro piccoli imprenditori su dieci hanno firmato almeno una cambiale nel corso dell’ultimo anno e sono sei su dieci quelli che ritengono probabile di farne ricorso nel prossimo futuro. E’ un sondaggio effettuato dall’Adnkronos a sancire il ritorno di questo vecchio strumento finanziario che permette di rimandare i pagamenti.
A farne uso sono soprattutto i piccoli imprenditori, strozzati dalla crisi, sempre più in difficoltà a causa della mancanza di lavoro e dei ritardi nei pagamenti delle altre stesse imprese, private o della pubblica amministrazione.

 
La caratteristica principale, ciò che rende questo titolo di credito gradito ai creditori, è il fatto che in caso di mancato pagamento alla scadenza, il possessore della cambiale può esercitare immediatamente l’azione esecutiva sui beni del debitore senza attendere la sentenza di un giudice. Generalmente in questi casi per il debitore insolvente scatta il protesto.

 
Secondo le rilevazioni dell’Adnkronos, la metà degli imprenditori che hanno dichiarato di aver usato cambiali, circa il 20% del totale, ha ammesso anche di essere stato protestato almeno una volta nel corso della propria attività imprenditoriale.
Questi dati sono confermati da Cerved e Unioncamere, che nell’ultimo anno hanno registrato una crescita nel numero dei protesti e nei ritardi dei pagamenti in generale.

 
Sono oltre 21mila le società cui è stato protestato almeno un assegno o una cambiale solo nei primi tre mesi del 2012, dato che in un anno è aumentato dell’8,1% fino ad arrivare a superare di un terzo i livelli medi dei trimestri precedenti alla crisi.
Il quadro appare più grave nel Centro e nel Sud Italia, dove il fenomeno ha raggiunto rispettivamente il 10,6% e il 13,5% di aumento rispetto al 2011. A preoccupare maggiormente sono i dati relativi al Mezzogiorno, nelle cui regioni tra gennaio e marzo 2012 ben l’1,4% delle società operative sul territorio ha subito il protesto di almeno un assegno o una cambiale, con un picco dell’1,9% in Calabria.

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