Secondo quanto stabilito da un giudice della regione del Karnataka, nell’India centrale, un marito è autorizzato a picchiare la moglie, purché sia benestante e dunque in grado di mantenerla. La sentenza ha immediatamente suscitato lo scalpore e lo sdegni delle più ferventi associazioni femministe. Il polverone è stato sollevato dal giudice Bhakthavatsala, chiamato a pronunciarsi su una richiesta di divorzio presentata da una donna di Bangalore, che aveva accusato il marito di picchiarla regolarmente.
Il giudice ha chiesto alla donna di riconciliarsi con il marito per salvare il matrimonio e anche per l’amore dei figli della coppia. Fin qui, apparentemente, nulla di strano, dal momento che appare comprensibile e ragionevole un tentativo di riconciliazione alla luce dell’interesse, soprattutto dei figli. Lo sconvolgimento si è avuto quanto il giudice ha poi aggiunto che, in effetti, la donna non aveva grandi motivi per lamentarsi dal momento che le donne sanno che, a suo dire, “Tutte le donne sanno di dover soffrire nel matrimonio“, e che quindi non c’era ragione di opporsi “dato che il marito guadagnava bene e si prendeva cura di lei, non aveva alcun motivo di lamentarsi se la picchiava”.
La frase shock, riportata dal The Bangalore Mirror, ha immediatamente suscitato le irose reazioni di un gruppo di attive femministe, nonché una compagnia online contro il giudice. Anche un gruppo di avvocatesse ha mostrato il suo dissenso, presentando una petizione al giudice capo della Corte Suprema di Nuova Delhi, ovvero il massimo organo giudiziario indiano.
Non è però la prima volta che il giudice in questione balza agli onori della cronaca a causa delle sue esternazioni maschiliste e retrograde. Durante un processo relativamente ad un altro caso di divorzio, il giudice ha ripreso un’avvocatessa single sostenendo che, non essendo lei sposata, non era competente a dibattere su una materia del genere.