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Mafia: secondo l’ex ministro nessuna trattativa con lo stato

Mafia: secondo l’ex ministro nessuna trattativa con lo stato

Il capitolo della trattativa fra stato e mafia sembra dividere ancora le coscienze fra chi si ostina a negare categoricamente che sia solo stata possibile una simile eventualità; chi invece è possibilista, ma non crede che gli elementi probatori attuali siano abbastanza concreti da dimostrare alcunché e chi ovviamente ci crede e ci indaga per eventuali responsabilità giudiziarie.

La trattativa, se mai è avvenuta, si sarebbe concretizzata con il passaggio di un “papello” scritto di suo pugno dal boss corleonese Totò Riina, il quale sarebbe passato per le mani dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, che a sua volta avrebbe fatto da intermediario per far raggiungere le richieste della mafia allo stato onde stabilire una tregua durante uno dei periodi stragisti più sanguinosi della storia d’Italia.

Adesso è stata sentita la testimonianza dell’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino, il quale è stato chiamato nell’ambito dell’inchiesta che sta coinvolgendo sempre più persone importanti dell’epoca e che per ora si regge principalmente sulle affermazioni di pentiti come il figlio di Don Vito, Massimo Ciancimino.

Io ho sempre difeso lo Stato e la Repubblica italiana tenendo fede al mio giuramento e dando il mio contributo come ministro nella lotta contro il fenomeno mafioso e mai avrei consentito che una simile trattativa venisse posta in essere da qualcuno sotto la mia responsabilità. Escludo pertanto, per tutto ciò che mi riguarda, questa trattativa.” Questa la parte più significativa delle parole che Mancino ha detto in aula e che riassumono la sua posizione sulla questione.

Secondo invece il pentito di “CosaNostra” Giovanni Brusca le cose non starebbero in questo modo, anzi: Mancino sarebbe stato la destinazione finale del “papello” e pertanto egli era perfettamente a conoscenza delle richieste che Totò Riina fece allo Stato. Ovviamente ancora una volta rimane la questione se considerare la parola di un ex mafioso come unica e decisiva ragione per coinvolgere persone autorevoli come un ex ministro in un’inchiesta sia giusto o anche semplicemente opportuno, almeno fino a quando non esiste nessun altro materiale probatorio in merito.

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