Il Censis ha presentato venerdì mattina al Cnel il suo 48esimo Rapporto sulla situazione del Paese, dal quale emerge che gli italiani sono sempre più soli, vulnerabili ed impauriti, al punto che il 60 per cento di loro ritiene che possa capitare a chiunque di finire in povertà, una percentuale che sale al 67 per cento tra gli operai e al 64 per cento nella fascia tra i 45 e i 64 anni, nonostante per il 47 per cento il picco massimo della crisi sia ormai superato. Il presidente del Censis Giuseppe De Rita ha spiegato: “Questo è un Paese che ha capitale, e non lo sa usare. E’ il Paese del capitale inagito”, per cui abbiamo le risorse per uscire dalla crisi, ma non le usiamo, e teniamo quindi da parte i soldi, ma soprattutto le “risorse umane” e “la cultura come fattore di sviluppo“.
Vi sono infatti quasi 8 milioni di individui non utilizzati, di cui 3 milioni di disoccupati, 1,8 milioni di inattivi e 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare. Ed è soprattutto fra i giovani che si registra il più alto numero di disoccupati: prima della crisi, i 15-34enni costituivano il 50,9% dei disoccupati, adesso sono il 75,9%. In aumento anche i Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, diventati da 1.946000 nel 2004 a 2.435000 nel 2013. Inoltre, fra i 4,7 milioni di under 34 che sono formalmente autonomi e vivono per conto loro, almeno un milione non riesce ad arrivare a fine mese, e 2,4 milioni ci arrivano solo grazie all’aiuto di genitori e nonni.
E la situazione peggiore è al Sud, dato che il tasso di occupazione nella fascia tra i 25 e i 34 anni varia tra il 34,2% di Napoli e il 79,3% di Bologna, la percentuale di laureati oscilla tra l’11,1% a Catania e il 20,9% a Milano e quella di chi non paga il canone tra il 58,9% a Napoli e il 26,8% a Roma. Il rapporto inoltre mette in guardia dai rischi che si corrono con l’aumento delle disuguaglianze: per il Censis, il nostro Paese “ha fatto della coesione sociale un valore e spesso si è ritenuto indenne dai rischi delle banlieue parigine”, ma le problematicità sempre più evidenti di alcune zone urbane “non possono essere ridotte ad una semplice eccezione”. Un altro dato che emerge è l’inefficienza della politica, che “gira a vuoto”, e della quale si sottolinea “il progressivo fallimento di molte riforme”, a cominciare da quelle del mercato del lavoro, che “nel perseguire la flessibilità hanno generato precarietà“.
L’Italia inoltre spreca anche il suo patrimonio culturale, che pure la colloca al primo posto nei siti Unesco, e del quale però si occupano solo 304mila lavoratori, l’1,3% del totale, la metà di quelli di Gran Bretagna (755mila) e Germania (670mila). Vi sono comunque alcune buone notizie: il nostro Paese rimane infatti la quinta destinazione turistica al mondo, con 186, 1 milioni di presenze turistiche straniere nel 2013 e 20,7 miliardi di euro spesi, il 6,8% in più rispetto al 2012. L’export del Made in Italy fra il 2009 e il 2013 è aumentato del 30,1% in termini nominali, e nel mondo vi sono ben duecento milioni di persone che parlano italiano.