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Morì di parto insieme alla figlia, risarcimento record per il marito

Morì di parto insieme alla figlia, risarcimento record per il marito

Morì di parto insieme alla figlia che stava mettendo al mondo dando luogo ad una vera e propria tragedia per marito e familiari. Da quel terribile giorno sono passati più di 20 anni ed ora la famiglia, sebbene mai compensata del dolore provato, ha ottenuto un maxi-risarcimento da 4,5 milioni di euro. Il tribunale di Sciacca ha  condannato l’Azienda provinciale di Agrigento a pagare l’ingente somma al marito della vittima, Andrea Bellanca, padre di altri tre figli. I fatti narrati risalgono all’agosto del 1992.

Il Tribunale ha deciso accogliendo pertanto il ricorso presentato dalla famiglia di Maria Spena. La donna morì a 40 anni nel dare alla luce la piccola Martina, anch’ella non sopravvissuta. La neonata morì nel reparto di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Sciacca, mentre la mamma Maria Spena fu colpita da un’improvvisa emorragia e perse la vita successivamente presso la Rianimazione di Villa Sofia, a Palermo, dove era stata trasferita urgentemente in elisoccorso.

È stata accolta la richiesta avanzata dal legale della famiglia Bellanca, l’avvocato Giovanni Todaro, secondo quanto riportato da Il Giornale di Sicilia. Il processo, per omicidio colposo, a carico di tre medici che allora erano in servizio presso il reparto di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Sciacca, finì per concludersi con un patteggiamento e due assoluzioni. Il consulente tecnico d’ufficio ha rilevato, però, “l’imperizia dei sanitari” che si è concretizzata nella decisione di indurre il parto con la somministrazione del Syntocinon in una paziente che aveva superato la quarantesima settimana di gravidanza decorsa fino ad allora in maniera regolare, nell’omesso attento controllo e monitoraggio della paziente dopo la somministrazione del farmaco, come normalmente suggerito dalle linee guida.

Il Tribunale ha dunque condiviso le conclusioni del consulente tecnico in quanto a “scorretto del forcipe a dilatazione incompleta” e nella “scorretta esecuzione dell’intervento demolitore dell’utero” che ha portato poi al maxi risarcimento di oltre 4,5 milioni di euro.

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