A soli 21 anni, viene arrestata dalla polizia per un semplice commento su Facebook. Accade a Dhada Shaheen, una studentessa di medicina dell’India e la medesima sorte toccata alla sua amica, che aveva apprezzato il post con un “like” ovvero “mi piace”. E così il paese noto per la democrazia palesa in questo caso le sue più profonde contraddizioni. Quando la scorsa settimana era morto il leader della destra indù Bal Thackeray, la città di Mumbai (Bombay) aveva risposto con un silenzio impressionante. I commercianti hanno chiuso i negozi e nessuno girava più per le strade. Questo aveva scatenato le critiche di molti tra cui proprio Dhada Shaheenn, contraria alla “chiusura” forzata della metropoli. Certo, aveva capito quello che stava succedendo. Thackeray era il simbolo della linea dura di Shiv Sena, il partito politico dell’estrema destra indiana, fondato il 19 giugno 1966 dallo stesso leader. Un movimento che in città ha dominato per decenni, spesso usando l’intimidazione, la violenza o atti di vandalismo. Noto anche per le sue campagne contro la visione di certi film, in una città come Mumbai divenuta ormai la capitale del cinema.
Shiv Sena voleva che tutta la città offrisse un segnale di deferenza per il suo leader defunto. Dhada non era d’accordo e ha deciso di condividere il suo pensiero sulla sua pagina Facebook con un post non certo offensivo: “Perché si deve chiudere una città per la morte di un politico?”, ha scritto. La sua amica, Renu Srinivasan, 20enne, ha letto il post e cliccato sul “like”. Questo è bastato per far scattare la repressione: soltanto poche ore dopo, un funzionario di Shiv Sena avevano denunciato il fatto alla polizia, che lo ha comunicato la famiglia di Dhada. Intimidite, le due ragazze hanno rapidamente pubblicato le proprie scuse, chiudendo l’account Facebook, così come ha confermato il loro avvocato. Tutto inutile: Dhada e Srinivasan sono state arrestate con l’accusa di aver pubblicato un discorso offensivo e odioso.
Gli arresti di Facebook hanno mostrato l’ampio potere discrezionale riservato alle autorità, oltre ai limiti evidenti alla libertà di espressione. Un semplice caso è diventato l’esempio di un chiaro problema nazionale: la possibilità concessa alle forze dell’ordine di frenare il libero commento on-line sta diventando una forma di vera repressione. Quando la polizia ha ricevuto la denuncia di un locale capo dello Shiv Sena, gli ufficiali di polizia hanno infatti agito rapidamente, chiamando lo zio di Dhada e intimandogli di convincere sua nipote a chiedere scusa. Nella denuncia, l’avvocato della signora Dhada ha poi confermato come, secondo Shiv Sena, il post della ragazza – una musulmana – avesse mancato di rispetto alla religione induista, dato che il signor Thackeray è considerato alla stregua di un dio indù. Dhada e Srinivasan sono state poi rilasciate su cauzione: le due giovani donne devono adesso attendere le prime udienze in tribunale. Non è il primo caso di repressione della libertà digitale. Lo scorso mese, nel sud dell’India, un uomo aveva scritto su Twitter che il figlio del ministro delle finanze indiano aveva accumulato enormi ricchezze attraverso la corruzione. Dopo la denuncia dello stesso alla polizia locale, l’uomo era stato arrestato. Soltanto per un semplice tweet.
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