Ancora una volta una tragedia familiare. Siamo a Dubai dove un padre ha torturato, fino alla morte, la figlia di 8 anni e un’altra figlia più piccola (quest’ultima sopravvissuta) con ferri roventi e pistole stordenti. Hamad Al Saod Sherawi, 29 anni, è accusato di aver abusato delle sue due figlie Wadiyma, otto anni, e Meyra, sette, nella loro casa di International City, a Dubai. Wadiyma non ce l’ha fatta a sopravvivere alle torture, mentre la sorella è ancora viva, nonostante i presunti abusi da parte di Al Sherawi e della sua nuova compagna incinta, Al Anood Mohammad Al Ameri.
I due sono accusati di aver usato pistole stordenti per torturare le giovanissime ragazzine, nonché di averle ustionate con acqua bollente e ferri roventi.
I procuratori del Tribunale penale ha anche asserito che la coppia di Dubai spesso teneva le due bambine chiuse in bagno e nel ripostiglio per ore senza cibo né acqua. Al Ameri, 27 anni, ha ammesso tutte le accuse, ma Al Sherawi proclama la sua innocenza, insistendo sul fatto che ha solo nascosto il corpo di Wadiyma dopo la sua morte e quindi sarebbe colpevole “solo” di occultamento di cadavere.
Il procuratore ha aggiunto che le torture nei confronti delle bimbe sono durate per oltre 6 mesi, mentre il corpo Wadiyma è stato scoperto il mese scorso. La coppia potrebbe affrontare l’esecuzione da un plotone d’esecuzione in caso di condanna. I pubblici ministeri li hanno accusati di aver imprigionato e torturato le bambine, causando poi la morte della primogenita. Sono inoltre accusati di aver nascosto il corpo della piccola, averla seppellita senza i giusti permessi, aver torturato l’altra figlia Mira causandole il 10% di invalidità permanente.
Al Sherawi si proclama innocente dinanzi alla corte e ha anzi negato di aver abusato anche dell’altra figlia, Mira, sostenendo di averla portata in ospedale, quando ha notato che la piccola aveva un braccio rotto. Il capo della squadra investigativa, Mohammad Ali Rustom, durante l’udienza presso il Tribunale penale ha riferito che il corpo di Wadiyma nella zona di Al Badayer di Sharjah.
La decomposizione del suo corpo ha reso difficile stabilire la causa esatta della sua morte, ma si pensa che il suo corpo è probabilmente rimasto lì per circa tre mesi. Anche la madre delle piccole era presente in Tribunale e sembra che alla coppia, mentre uscivano dall’aula, abbia urlato: “Che possiate bruciare all’inferno”. Il processo continua, con l’ascolto dei testimoni il prossimo 11 luglio.