L‘Unicef ha diffuso martedì il suo rapporto annuale sulla Condizione dell’infanzia nel mondo 2016, intitolato “La giusta opportunità per ogni bambino”, in cui ha lanciato un terribile allarme: entro il 2030, senza adeguati interventi, 69 milioni di bambini sotto i cinque anni rischiano di morire per cause in gran parte prevedibili, 167 milioni di fanciulli vivranno in povertà e 750 milioni di donne si saranno sposate da bambine, mentre oltre 60 milioni di bambini in età da scuola primaria saranno esclusi dall’istruzione. Secondo l’organizzazione, comunque, sono stati già compiuti progressi significativi nel salvare le vite dei più piccoli, per garantire loro il diritto all’istruzione e nel fronteggiare la povertà: è stato infatti globalmente mancato l’Obiettivo di sviluppo del Millennio della riduzione di due terzi della mortalità infantile tra il 1990 e il 2015, che è stato però raggiunto da ventiquattro nazioni a medio e basso reddito, mentre complessivamente tale tasso si è più che dimezzato.
La riduzione della mortalità infantile è stata possibile principalmente grazie alla prevenzione e al trattamento delle malattie infettive, mentre i programmi per le vaccinazioni hanno consentito una diminuzione di circa l’80% delle morti per morbillo fra il 2000 e il 2014, prevenendo il decesso di circa 1,7 milioni di bambini. Dal 1990 la mortalità tra le madri sarebbe diminuita del 43%, mentre il numero di fanciulli sotto i cinque anni morti ogni anno per polmonite, diarrea, malaria, sepsi, pertosse, tetano, meningite, morbillo e Aids è passato da 5,4 milioni nel 2000 a 2,5 milioni nel 2015. Secondo l‘Unicef, però, tali progressi “non sono ancora equi“, perché, ad esempio, i bambini più poveri hanno ancora il doppio delle probabilità di quelli più ricchi di non raggiungere il quinto compleanno e di soffrire di malnutrizione cronica, mentre in molte zone dell’Asia Meridionale e dell’Africa Subsahariana i figli di madri non istruite hanno circa il triplo di probabilità di morire prima dei cinque anni rispetto a quelli nati da madri con un grado di istruzione secondaria, e le ragazze delle famiglie più povere hanno il doppio di probabilità di contrarre matrimonio da bambine rispetto alle ragazze provenienti da famiglie più agiate.
La situazione più drammatica, al momento, è proprio nell’Africa Subsahariana, dove almeno 247 milioni di bambini, ossia i due terzi, versano in condizioni di povertà multidimensionale, sono cioè privi di quanto è necessario per sopravvivere e svilupparsi, e dove circa il 60% dei ragazzi tra i 20 e i 24 anni ha frequentato la scuola per meno di quattro anni. Secondo l’Unicef, continuando con il trend attuale, in quella regione potrebbero morire entro il 2030 la metà di quei 69 milioni di piccoli i cui decessi sarebbero invece prevenibili, mentre trenta milioni di bambini non andranno a scuola e nove su dieci vivranno in situazioni di assoluta povertà. Anche nei quarantuno stati più ricchi nel 2014 quasi 77 milioni di fanciulli si trovavano in condizioni di povertà assoluta, mentre in 23 paesi Ocse, dopo la crisi del 2008, sono aumentate le diseguaglianze, e, nella maggior parte delle nazioni europee, la percentuale di bambini che versa in condizioni di povertà è superiore a quella degli adulti.
La stragrande maggioranza delle morti infantili si potrebbe invece prevenire con interventi facili e non costosi, ad esempio, spiega il rapporto, “sei pacchetti di investimenti principali per 74 Paesi a mortalità elevata costerebbero circa 30 miliardi di dollari in spese annuali aggiuntive”, e, tra il 2013 e il 2035, essi salverebbero la vita a 147 milioni di piccoli ed eviterebbero che 32 milioni di bambini nascano morti e 5 milioni di decessi materni. Per il direttore generale dell’Unicef Anthony Lake, è necessario che governi, donatori ed organizzazioni internazionali accrescano i loro sforzi in favore dei piccoli meno fortunati, perché, ha spiegato, “non dare una giusta opportunità nella vita a centinaia di milioni di bambini significa minacciare ancora di più il loro futuro, in questo modo si alimentano i cicli di svantaggio intergenerazionale, mettendo in pericolo il futuro delle loro società“.