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Costringe un alunno a scrivere “sono deficiente”

Costringe un alunno a scrivere “sono deficiente”

Costrinse il suo alunno a scrivere “sono deficiente” e ora finisce in carcere. Questa la storia di G.V. professoressa rea di “di aver abusato dei mezzi di correzione e di disciplina” ai danni dello studente G.C., per averlo “mortificato nella dignità” venendo così meno al “processo educativo in cui è coinvolto un bambino”. Queste le motivazioni addotte dalla Suprema Corte alla sentenza di condanna dell’insegnante che aveva costretto il proprio alunno a scrivere “sono deficiente”.

 

 

“Non può ritenersi lecito l’uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi – afferma la Cassazione – e ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti”. E sia perché si legge nella sentenza “non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza, convivenza e solidarietà, utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini contraddicono”.

 

 

La professoressa dunque secondo i Supremi Giudici merita il carcere per aver punito in una maniera troppo umiliante l’alunno che, secondo lei, stava tenendo “un atteggiamento derisorio ed emarginante nei confronti di un compagno di classe”.

 

 

“Costituisce abuso punibile anche il comportamento doloso che svaluta, denigra o violenta psicologicamente un bambino, causandogli pericoli per la salute anche se è compiuto con una soggettiva intenzione educativa o di disciplina”. I giudici della Cassazione, però, hanno concesso alla docente uno sconto di pena rispetto alla condanna d’appello pari a 30 giorni di reclusione eliminando l’aggravante di aver provocato nell’adolescente un “disturbo del comportamento”. Un’ipotesi avanzata dallo psicologo, ma non provata con certezza In primo grado la prof era stata assolta dal tribunale di Palermo. In appello, il 16 febbraio del 2011, il proscioglimento fu annullato.

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