L’aula della Camera ha approvato lunedì, con 367 si, 194 no e 5 astenuti, il disegno di legge Boschi che riforma la Costituzione, e che ora dovrà tornare nuovamente al vaglio del Senato, intorno al 20 gennaio, e quindi, nella seconda metà di aprile, a Montecitorio, dove sarà votato senza possibilità di apporvi altri emendamenti, come prescritto dall’art.138 della Costituzione. Si sono espressi a favore tutti i partiti di maggioranza, quindi Pd, Psi, Democrazia Solidale-Centro Democratico, Ala, Scelta Civica ed Area Popolare, mentre hanno votato contro Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega Nord, Sinistra Italiana-Sel, Fratelli d’Italia-An e Conservatori e Riformisti. Il Movimento 5 Stelle ha anche inscenato una protesta in aula durante le dichiarazioni di voto, con il deputato Danilo Toninelli che ha concluso il suo intervento esclamando: “Stiamo arrivando, viva l’Italia” ed ha quindi iniziato a sventolare una bandiera italiana, mentre i colleghi di partito hanno esposto cartelli con il tricolore, venendo ripresi dalla presidente Boldrini.
Il premier Matteo Renzi ha commentato l’esito della votazione alla Camera scrivendo su Facebook: “Oggi quarto voto sulle riforme costituzionali: maggioranza schiacciante in attesa di conoscere il voto dei cittadini in autunno. Stiamo dimostrando che per l’Italia niente è impossibile. Con fiducia e coraggio, #avantitutta“. Anche il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, ospite della trasmissione “Otto e mezzo”, si è detta “molto soddisfatta” del risultato del voto, nonchè “molto, molto, molto, ottimista e fiduciosa sul referendum”, a proposito del quale ha aggiunto però che, se questo dovesse bocciare le riforme, “tutto il governo, e quindi anche io, dovrà risottoporsi necessariamente alla scelta dei cittadini“. Se la legge sarà approvata, infatti, entro tre mesi dalla pubblicazione un quinto dei componenti di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali possono chiedere che si tenga il referendum confermativo, e il presidente del Consiglio ha annunciato che saranno gli stessi parlamentari democratici a chiederlo.
I contrari alla riforma lo hanno allora accusato di voler trasformare la consultazione in un plebiscito, e a loro Renzi ha risposto spiegando al Tg1 che il referendum “non è un plebiscito. Io penso che gli italiani staranno dalla nostra parte, ma la parola finale ce l’hanno loro e io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità“. Già lunedì mattina, infatti, si è riunito in una stanza della Camera il Comitato per il No al referendum, che ha subito incassato il sostegno di Movimento 5 Stelle, Sinistra Italiana (che vi aderirà formalmente), Pippo Civati di Possibile e della Fiom di Maurizio Landini, anch’egli presente all’incontro. Il co-presidente del Comitato Alfiero Grandi ha annunciato che con la presenza di Possibile “abbiamo la certezza che almeno 126 deputati chiederanno il referendum”, ossia, appunto, un quinto dei componenti della Camera.
Sono inoltre intervenuti in difesa dell’attuale bicameralismo perfetto costituzionalisti e giuristi del calibro di Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, Alessandro Pace, Gaetano Azzariti e Gianni Ferrara. Il comitato chiederà anche due referendum abrogativi sulla legge elettorale, uno per l’abrogazione della norma sui capilista bloccati e l’altro per eliminare il premio alla lista. La riforma appena approvata alla Camera prevede la fine del bicameralismo perfetto, per cui sarà solo la Camera a votare la fiducia al governo, mentre il Senato avrà competenza legislativa piena solo sulle riforme e le leggi costituzionali, e sarà composto da 95 senatori eletti dai consigli regionali ma con “legittimazione popolare”, ossia indicati dai cittadini. Saranno inoltre abolite le materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni, mentre torneranno allo Stato le competenze riguardanti energia, infrastrutture strategiche e sistema nazionale di protezione civile.