Sebbene fosse iniziata nello scorso mese di maggio, è da pochi giorni che si è diffusa a macchia d’olio l’esistenza di una proposta di referendum volta ad abrogare l’art. 2 della legge 1261 del 1965 che disciplina le indennità spettanti ai membri del Parlamento. A norma dell’art.75 della nostra Costituzione, il referendum popolare è indetto per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Era dunque così partita la raccolta delle firme necessarie per l’indizione del referendum per iniziativa di Unione Popolare.
Nel dettaglio, il referendum, in caso di buon esito, avrebbe tagliato circa 48 mila euro l’anno per ogni membro del Parlamento, poiché l’art.2 della Legge 1261 va proprio a disciplinare i compensi relativi alla diaria ed alle spese di soggiorno a Roma dei parlamentari. Così, sia su testate editoriali non dipendenti da finanziamenti pubblici e sui maggiori social network, si invitava gli aventi diritto a firmare entro il 27 luglio. Tuttavia sono sorti dei problemi a monte e che vanno a conferire margini di incostituzionalità alla proposta di referendum.
Innanzitutto, sembrano esserci in corso due richieste di referendum:
- Quella per l’appunto promossa da Unione Popolare e volta all’abrogazione della Diaria dei Parlamentari
- Quella promossa da Comitato del Sole e per la quale non c’è una data fissata per la chiusura della raccolta firme. Con questa si chiede l’abrogazione di:
- Spese di segreteria e rappresentanza.
- Diaria (Rimborso spese soggiorno a Roma)
- Cumuli d’indennità per partecipazione a commissioni giudicatrici di concorso, missioni, commissioni di studio e commissioni d’inchiesta.
- In aspettativa: – Aumenti periodi di stipendio – Avanzamento di carriera – Trattamento di quiescenza – Trattamento di previdenza – Assistenza sanitaria – Assicurazione previdenziale.
- Indennità mensile esente da ogni tributo.
- Indennità mensile non sequestrabile o pignorabile.
Senza contare poi che l’art. 31 della Legge 352 del 1970 che disciplina le modalità di svolgimento dei referendum, stabilisce che: Non può essere depositata richiesta di referendum nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere medesime. E il prossimo anno dovrebbero, com’è noto, aver luogo inItalia le elezioni politiche. Se consideriamo che i promotori devono raccogliere almeno 500.000 firme entro 3 mesi, qualora le andassero a consegnare nel gennaio 2013, le firme raccolte così frettolosamente nel corso di questi giorni non sarebbero valide, rimandando il tutto al post-elezioni del 2013 e quindi presumibilmente al 2014, calcolando i tempi necessari per le verifiche della costituzionalità dello stesso quesito referendario.
Tuttavia, la coordinatrice nazionale dell’Unione Popolare Maria Prato ha invece, in un video, fatto sapere che il referendum e le firme raccolte sono valide aggiungendo che la legge relativa all’attuazione del referendum è incostituzionale ma che il partito continuerà a raccogliere firme ad ottobre in modo che siano valide fino a gennaio 2013, data che renderà possibile presentare, in maniera costituzionale, la richiesta di referendum.