La trasfusione di sangue gli ha salvato la vita, ma lui – un operaio di Torino, testimone di Geova – ha denunciato i due dottori che lo hanno salvato nel 2006 quando, in seguito ad un incidente sul lavoro, gli venne amputata anche la mano destra.
Il PM Andrea Padalino ha chiesto l’archiviazione del caso ma, dopo essere arrivato martedì scorso davanti al GUP Luisa Ferracane, la decisione è stata rimandata ulteriormente: i legali dell’uomo hanno, infatti, presentato opposizione circa la decisione del PM.
I dottori sotto accusa sono due medici dell’ospedale Maria Vittoria di Torino, i quali – prima di procedere – avevano anche chiesto l’autorizzazione per il trattamento sanitario obbligatorio al magistrato di turno allora. Secondo la legge italiana, infatti, non è possibile sottoporre una persona cosciente a cure contro la propria volontà e l’operaio non desiderava alcuna trasfusione: secondo gli avvocati dell’ex paziente, l’uomo rifiutò per ben 17 volte l’aiuto dei medici.
I due dottori rischiano, adesso, di essere chiamati in giudizio per lesioni colpose, violenza privata e somministrazione di trattamento sanitario non voluto. I testimoni di Geova rifiutano trattamenti sanitari come le trasfusioni di sangue, perché considerate un “abominio”, in base ad alcuni versi presenti nella Bibbia: dal Levitico, 17:10-11 e 17:14 e dalla Genesi, 9:4.
Questa, comunque, non è la prima volta che si verifica un caso del genere: già nel 2009, a Milano, un uomo ottenne il risarcimento per un caso simile ed appena l’anno scorso, invece, una donna di Bordighera morì per aver rifiutato una trasfusione, nonostante la figlia avesse contattato un tribunale per salvarla.
Questo è l’ennesimo caso che dimostra quanta confusione ci sia ancora circa la sottile linea che divide il sacrosanto diritto del paziente di decidere della propria vita ed il dovere del medico di salvare una vita in pericolo, a maggior ragione che potrebbe anche essere accusato di omissione di soccorso o, peggio ancora, di omicidio.