Ad uccidere non sono i terremoti, sono le case che ci crollano addosso. La storia è sempre la stessa, qui in Italia: è già accaduto per il terremoto dell’Aquila – che fece 308 morti – per quello del Molise – dove morirono 27 bambini – per quello dell’Umbria, dell’Irpinia ed adesso dell’Emilia. Nulla è cambiato. Tutto questo senza contare le alluvioni, le frane e tutti quei disastri chiamati “naturali”. “Cambierà mai qualcosa?” viene da domandarsi. Ormai, è chiaro che la parola d’ordine dovrebbe essere “prevenzione” e non “emergenza“, almeno è ciò che si dovrebbe fare per evitare disastri evitabili, perché tutti i morti ed i danni che si sono registrati erano evitabili. Occorre un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio ed occorre subito, prima di qualsiasi altra cosa, se è vero che la vita viene prima di tutto. Eppure, ancora non si è disposti a spendere soldi per salvare noi stessi e la nostra storia. Esperti su esperti, per anni, hanno denunciato le inadempienze ed hanno spiegato cosa va fatto immediatamente, invano.
Dal Giappone, ci arrivano le immagini di terremoti molto più potenti di quelli a cui abbiamo assistito in Italia, ma che non creano nessun particolare problema alla popolazione. Come mai? Possibile che, in Giappone, un terremoto del 9 grado della scala Richter faccia muovere soltanto i lampadari di una costruzione risalente al 1936? Come mai i giapponesi riescono a costruire edifici del genere e noi no? Edifici antisismici che evitano morti e danni, sin dagli anni ’30. Allora, non è vero che non si può fare nulla contro i terremoti, che accadono perché devono accadere, perché è la Terra ad uccidere, o la natura. La Terra fa ciò che fa da miliardi di anni, siamo noi a non fare ciò che andrebbe fatto e che diamo sempre la colpa al fato. Le uniche immagini tragiche, giunte a noi dal Giappone, riguardano gli effetti dello tsunami e non di certo le conseguenze delle scosse di terremoto. Se, in Italia, avessimo avuto delle costruzioni come quelle giapponesi, molte persone sarebbero ancora vive. A Tokyo, nel 1923, vi fu un terremoto che distrusse molti palazzi, tranne l’Imperial Hotel – realizzato da Frank Lioyd Wright – che rimase in piedi grazie ad una struttura antisismica. Da allora, vengono utilizzati dei “cuscini antisismici” che, disposti tra un piano e l’altro degli edifici, rendono elastica la struttura. Grattacieli che resistono a terremoti violentissimi, tremano ma non crollano. Tutti gli edifici giapponesi devono essere, infatti, costruiti con sistemi antisismici, rispettando rigorosamente tutte le norme. In Italia, invece, il tempo passa, i terremoti tornano – perché tornano, la Terra continua a muoversi, come fa da sempre – e si piangono vite perse per la noncuranza dell’uomo.
Proprio qualche giorno fa, è stato stabilito che la scuola crollata in Molise è venuta giù perché malcostruita e non per la scossa in sé. Colpevoli, dunque, i progettisti, i costruttori, gli amministratori ed i funzionari comunali. Stessa storia all’Aquila, così come adesso in Emilia. Il governo – come fece anche in passato – ha deciso un nuovo aumento delle accise dei carburanti: altri soldi per le emergenze – invece che per la prevenzione – in attesa che avvenga la prossima strage, perché è logico che ce ne sarà sempre una di questo passo, è solo questione di tempo. E poi, che fine fanno in realtà questi soldi?
“La burocrazia uccide più del terremoto“, scriveva Danilo Dolci, attivista siciliano negli anni successivi al sisma del Belice, la zona tra le province di Palermo, Trapani ed Agrigento che venne colpita da un violentissimo terremoto tra il 14 ed il 15 gennaio del 1968. 44 anni dopo, centinaia di persone vivono ancora in case prefabbricate nei quartieri devastati dal sisma, perché la ricostruzione della Valle del Belice è stata scandita dai tempi biblici della burocrazia, dalle speculazioni e dai 12 mila miliardi di lire che non si sa che fine abbiano fatto. 370 morti e 70 mila senzatetto dimenticati da 44 anni, mentre la storia continua a ripetersi.