Giustizia è stata finalmente resa. Ma il suo calvario è durato ben 36 anni, di cui 21 trascorsi tra le 4 mura di una cella. Parliamo di Giuseppe Gulotta, arrestato all’età di soli 18 anni e accusato di avere partecipato alla strage di due carabinieri, massacrati a colpi di pistola, nella caserma di Alcamo Marina (Trapani). Finalmente l’incubo di quest’uomo è finito quando, nell’aula della Corte d’assise di appello di Reggio Calabria, è stata letta la sentenza del processo di revisione. L’esito è stato tuttavia preannunciato dalla richiesta di assoluzione da parte dell’accusa, ma, comprensibilmente, Gulotta non è riuscito a trattenere le lacrime. A scagionarlo è stato un brigadiere in servizio al reparto antiterrroristico di Napoli, il quale avrebbe ammesso che i sospettati furono costretti a confessare sotto tortura.
“Ora posso dire che giustizia è stata fatta. La mia vita era stata bruciata. Ora è come portare indietro l’orologio di 36 anni. Chi potrà mai restituirmi quello che mi è stato tolto?” ha dichiarato l’uomo, che ha abbracciato commosso la moglie Michela e il figlio William di 24 anni. Correva il 27 gennaio 1976 quando un commando armato assaltò la caserma di Alcamo Marina, uccidendo due giovani carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta di 19 e 35 anni. La squadra di investigatori, guidata dal colonnello Giuseppe Russo (che l’anno dopo sarebbe stato ucciso dalla mafia a Ficuzza nel Corleonese) si occupò delle indagini che portarono al fermo di Giuseppe Vesco, un giovane anarchico, che aveva perso la mano maneggiando esplosivo. Sotto tortura, l’uomo fu costretto a confessare la partecipazione alla strage, finendo per accusare un gruppo di giovani che egli stesso frequentava: Giuseppe Gulotta, Giovanni Mandalà e Vicenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo, questi ultimi due all’epoca dei fatti minorenni.
Tutti furono arrestati, mentre Vesco fu trovato impiccato successivamente in cella, sebbene non sia mai stato chiarito se si fosse trattato di un suicidio o meno. L’iter processuale è stato lunghissimo e, nel suo corso, Ferrantelli e Santangelo sono stati prima condannati e poi assolti. Attualmente vivono in Sud America, mentre Mandalà è morto. Sorte peggiore è toccata a Gulotta che, dopo varie scarcerazioni durante le quali è riuscito a costruirsi una famiglia, è stato condannato a 27 anni di reclusione. Con il tempo, un maresciallo in pensione, Renato Olino, facente parte del gruppo del colonnello Russo, ha confermato la storia delle torture. “Mi puntarono anche una pistola in faccia e mi dissero: se non confessi ti uccidiamo” ha raccontato Olino. Da quattro anni Gulotta beneficiava del regime di semilibertà, accordato in virtù della revisione del processo, accolto dalla Cassazione in seguito alle ultime verità intervenute. La Procura di Trapani pertanto ha dovuto promuovere una nuova indagine sulla strage “contro ignoti” iscrivendo nel registro degli indagati quattro degli investigatori che avrebbero estorto le false confessioni. La prescrizione probabilmente coprirà ogni responsabilità. Sicuramente Gulotta sarà risarcito dalla Stato, ma nessuna cifrà mai potrà restituirgli una consistente fetta di vita ormai andata e trascorsa in gattabuia.