Lo abbiamo visto accasciarsi al suolo senza più rialzarsi, sotto lo sguardo impietrito di migliaia di tifosi. Parliamo di Fabrice Muamba, il 23enne giocatore del Bolton che sabato 17 marzo, nel corso della partita di FA Cup tra Tothenam e Bolton, ha fatto immediatamente temere tutti per la propria vita data l’evidente natura cardiaca del malanno che l’aveva colpito in campo. Sono occorse ben 15 scariche elettriche per far ripartire il cuore del giocatore che, come dichiarato dal medico John Tobin, è effettivamente morto per 78 minuti ed è stato salvato solo grazie alla rianimazione cardiopolmonare, subordinata però alla presenza di una pur minima attività elettrica all’interno dell’organo. Muamba si riprenderà. Lentamente, ma ce la farà.
Sorte decisamente peggiore è toccata al nostro connazionale Vigor Bovolenta, 37 anni, ex giocatore della nazionale di pallavolo azzurra, con la quale ha vinto diversi ed importanti trofei, che, nel corso della partita che la sua squadra, il Volley Forlì, stava disputando contro la Lube a Macerata, si è sentito male. A nulla è servito il ricovero immediato in ospedale, dove i medici hanno potuto effettivamente solo accertare la sua morte. Non finisce certo qui. Innumerevoli sono i casi di calciatori, o più in generale di sportivi, vittime di malori, spesso di natura prettamente cardiaca che muoiono o rischiano la propria vita. Eppure il paradosso sta nel fatto che, a differenza di noi “comuni mortali”, gli sportivi sono sottoposti a visite mediche, controlli specifici e minuziosi, volti propri ad accertare la presenza di problemi o comunque di anomalie fisiche, genetiche o meno.
A volte non basta. Tutto ciò induce così ad una profonda riflessione. Se può capitare anche a chi è seguito quotidianamente da prestigiose e attente equipe mediche di rischiare la vita per un malore, a noi che in fondo, presi da lavoro, affetti e dalla frenesia della vita giornaliera, tendiamo (diciamocela tutta) a trascurare certi aspetti salutistici, cosa potrebbe accadere? In fondo, erroneamente, pensiamo quasi tutti che un malore cardiaco, un accasciamento, sia dovuto necessariamente ad un infarto che potrebbe rivelarsi fatale e, in quel caso, addio mondo. Non è sempre così.
Tante sono le anomalie, le diverse sindromi, di più o meno recente scoperta, di cui potremmo essere portatori senza neanche saperlo e che, invece, potrebbero essere diagnosticate e prevenute prima che sia troppo tardi. Una di queste è la Sindrome di Brugada, comunemente chiamata anche sindrome da morte improvvisa, descritta per la prima volta nel 1988 da autori italiani sul Giornale italiano di Cardiologia. Tecnicamente la sindrome è caratterizzata da un’anomalia elettrica del cuore e da un blocco di branca destra. Come facilmente deducibile dal nome comune con il quale è conosciuta, essa comporta un elevato rischio di morte improvvisa e prende il suo nome dai fratelli Brugada che la descrissero nel 1992 come entità medica distinta. Trattandosi dunque di una malattia di recente scoperta, molti e contorti sono gli aspetti in via di definizione e approfondimento, sia da un punto di vista prettamente medico che burocratico.
La morte improvvisa sarebbe sostanzialmente causata dalla fibrillazione ventricolare presente nel cuore. Gli studi condotti sino ad oggi hanno permesso l’individuazione di un solo gene alterato nei pazienti affetti da sindrome di Brugada, ovvero il gene ubicato sul cromosoma 3, che va a causare un’alterazione del canale del sodio cardiaco, regolante l’entrata degli ioni sodio nella cellula cardiaca. Difficile è intervenire prontamente sulla sindrome poiché, essendo una malattia prettamente asintomatica, colpisce prevalentemente le persone a riposo o addirittura nel sonno. Il caso vuole che l’unico modo per essere allertati sia dunque un arresto cardiaco. Ad ogni modo, la prima cosa da fare per poter comprendere la situazione, è eseguire un ECG sotto sforzo ed un ECG Holter entro le 24 ore successive, ripetendo il test più volte se necessario. Ancora in corso è il dibattito sulla cura che potrebbe essere prescritta per la sindrome. Da un lato ci si uniforma alla possibilità di installare un defibrillatore cardiaco impiantabile (ICD), in quei pazienti che siano stati già colpiti da una morte improvvisa fortunatamente sventata, mentre in altri casi all’ordine del giorno è la discussione sull’efficacia curativa di alcune sostanze come la chinidina, che inibisce la corrente Ito. Altri medici ancora sostengono invece l’efficacia di un’ablazione trans-catetere con radiofrequenza fibrillazione ventricolare. Essendo dunque così non facilmente diagnosticabile e priva di sintomi, se non quello più grave rappresentato dal già citato arresto cardiaco, c’è poi chi la malattia l’ha scoperta in maniera del tutto casuale.
Così è capitato a Ivano Faraoni, ragazzo romano di 26 anni che ci ha raccontato la sua storia, dalla scoperta di essere affetto dalla sindrome, fino ad oggi e al modo in cui la sua vita è cambiata. Circa due anni fa, nella giornata mondiale della prevenzione cardiaca, il padre di Ivano, da sempre persona attiva e dedita allo sport (è maestro di judo e pratica paracadutismo) si è presentato in ospedale per una visita, dal momento che, per le persone di oltre 50 anni, gli ECG erano gratuiti. Qui l’uomo ebbe la fortuna di incontrare un aritmologa esperta che, dall’esame dell’ECG, gli comunicò di avere questa sindrome e che un ulteriore controllo si sarebbe reso necessario per accertare il livello della stessa da cui era affetto.
Questo perché la sindrome presenta tre livelli afferenti a tre diverse espressioni dell’ECG. Al padre di Ivano è stato riscontrato il livello più alto, così come allo stesso ragazzo. Scavando a ritroso nel passato salutistico della famiglia Faraoni, ci sono state morti improvvise, ma non si è potuto pensare di collegarle minimamente alla Brugada, essendo come abbiamo detto sindrome dalla recente scoperta. Dall’ECG condotto su tutti i membri in vita della famiglia è stato così riscontrato che solo Ivano, oltre a suo padre, aveva la sindrome, mentre sono perfettamente sani i suoi due fratelli. Come ci riferisce lo stesso Ivano, l’ereditarietà della sindrome è certa: “L’eredità è confermata, ci sono intere famiglie di 3 generazioni ad avere la sindrome che però dipende solamente da pochi geni”.
Dopo la temibile scoperta, Ivano ci racconta il percorso medico subito prima dal padre e poi da lui stesso:
Dopo la prima visita, ne abbiamo subita un altra, molto invasiva, per accertare quale fosse il nostro livello di Brugada. Un tipo di esame chiamato SEF, studio elettrofisiologico consistente nel raggiungere con un catetere l’arteria femorale, per poi cercare, grazie all’elettrostimolazione sulle pareti del cuore, il punto debole fino a causarti (se brugada di tipo 3) l’arresto cardiaco che effettivamente abbiamo avuto sia io che mio padre. Una volta sotto arresto cardiaco e rianimati, ci hanno portato in camera, e lì ci hanno detto che l’unica cosa da farsi consisteva nell’impianto di un defibrillatore. Quindi, prima a mio padre, e dopo sei mesi a me, è stato impiantato un defibrillatore chiamato ICD.
Grazie all’impianto del defibrillatore Ivano e suo padre sono teoricamente salvi. Questo perché una possibilità, seppur minima, di non riprendersi dall’arresto, continua ad esistere. Da allora la vita di Ivano, così come quella di suo padre, è molto cambiata. Innanzitutto da un punto di vista lavorativo.
Ero un operaio metalmeccanico, ma con l’impianto non posso più fare determinati movimenti, il rischio di urtare l’ICD è elevato, così come alto è il rischio di poter rompere il catetere. Quindi, licenziato dal mio capo, mi sono ritrovato disoccupato. Dopo un periodo di immobilità dovuto all’operazione, oggi, dopo praticamente un anno, fisicamente sto benissimo. Adesso sono disoccupato, non potendo fare più lavori manuali, sono rimasti quelli d’ufficio, ma per il momento ancora non trovo nulla.
Anche sul fronte burocratico, per quanto riguarda la possibilità di avere una pensione d’invalidità la situazione è molto complessa, come ci spiega lo stesso Ivano:
Secondo i medici della commissione del lavoro io ho il rischio, ma non una malattia vera e propria perché innanzitutto la sindrome non è ancora registrata nel loro archivio. Per la Commissione rientro nella sezione gravi aritmie, delle quali non soffro avendo invece la sindrome di Brugada. Avrei inoltre il rischio dell’arresto cardiaco, però fisicamente sono sano. Dandomi poi un punteggio basso, non rientro quasi in nessun concorso, e di lavori manuali non se ne parla. Ho provato a lavorare per l’A.M.A, azienda municipale ambientale di Roma, ma la risposta è stata: ‘Hai il defibrillatore e non puoi lavorare’, quindi ad oggi mi ritrovo in un limbo. La mia percentuale d’invalidità è del 54%, ma in parole povere è come se non avessi alcun punteggio. Basterebbe avere un riconoscimento del 70% per trovare o essere aiutati nel lavoro. Dunque, non posso fare lavori manuali perché invalido, ma non posso fare altri tipi di lavoro perché non del tutto invalido, una situazione abbastanza comica.
Cambiano così anche speranze e prospettive nei riguardi del futuro: “Vorrei trovare un semplice lavoro d’ufficio, per qualche ente, A.S.L. o cose simili. Anche un lavoro manuale leggero sarebbe ben accetto. Vorrei, sul piano strettamente burocratico, che si facesse un po’ più di chiarezza sui punteggi, che sappiamo cambiare in Italia da una regione all’altra. Alcuni casi escono con il 50% d’invalidità, altri con il 100%. Sarebbe ottimo magari fare opera di prevenzione nelle scuole come succede per la microcitemia, il vaccino antitumorale dell’utero o anche effettuare delle visite cardiache preventive che possono dare modo di scoprire se si è o meno malati” ci confida Ivano che, in attesa di poter trovare un lavoro adeguato alla sue condizioni, vive con i suoi genitori che lo aiutano come possono. Ricordiamo infatti che, anche il padre di Ivano, essendo affetto dalla stessa sindrome, ha dovuto cambiare ruolo lavorativo. Da portalettere esterno delle Poste al ruolo di addetto allo smistaggio della lettere, in attesa della pensione.
La riflessione su quanto un semplice esame medico possa dunque salvarci la vita si rende evidente e necessaria, scongiurando così il pericolo della morte a fronte di una vita che, seppur complicata, è sempre meravigliosamente degna di essere vissuta.