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Shein: la triste realtà dietro il noto marchio moda

Shein: la triste realtà dietro il noto marchio moda

Shein è quella piattaforma online che pure se non comprate vestiti dal vostro smartphone, ha raggiunto l’apice delle aziende raggiungendo un patrimonio di prima 200 miliardi di dollari stimati nel 2020, anno del boom, poi mantenuto sui 100 miliardi di dollari arrivando a valere più di H&M e Zara messi assieme. Shein come avrete capito è la piattaforma usata da milioni di utenti per comprare comodamente a casa i propri vestiti e con una facilità di reso impressionante, ma cosa si cela veramente dietro l’azienda cinese più in voga del momento?

Si parla di operai tenuti in condizioni precarie. Stipati in luoghi di lavoro senza uscite di sicurezza e finestre sbarrate, costretti a tagliare, cucire e stirare tonnellate di stoffa per minimo 12 ore al giorno ed un solo giorno libero al mese. Le condizioni precarie degli operai sono il problema principale sicuramente, ma non è l’unico. Infatti un’altro grosso problema di questa azienda leader del e-shopping è l’inquinamento. L’impatto ambientale che l’azienda ha sull’ambiente è altissimo. Public Eye che si è occupata dell’inchiesta ha calcolato che solo il 6% del catalogo resta in stock per 90 giorni, il resto diventa immondizia e sappiamo quanto la Cina sia il paese leader anche dell’inquinamento ambientale ed il settore tessile in tutto il mondo è quello che contribuisce maggiormente solo dopo quello degli allevamenti intensivi.

A cosa è dovuto il successo di Shein? Sicuramente guardare ogni giorno la varietà del guardaroba di star ed influencer nei social svilisce il proprio, questo ha portato dunque allo sviluppo di questo modello di business usa e getta che sta fagocitando l’azienda e che sta svilendo anche la figura dello stilista. Bisogna capire se il prezzo per avere un guardaroba strabordante valga davvero la salute degli operai e del Pianeta, ma la risposta a questo quesito la sappiamo già tutti ormai. C’è da dire comunque che sia greenme_it che public eye, i due principali denunciatari di questa situazione, dovrebbero farsi un giro anche nel nostro Belpaese, soprattutto al sud Italia, dove vi posso assicurare che molte aziende offrono condizioni lavorative simili se non uguali alle medesime di Shein. D’altronde il modello cinese sembra quello che l’Italia vuole seguire da anni visto anche l’accrescimento dei negozi cinesi che stanno mangiando lentamente le realtà nostrane. Ci facciamo comunque anche noi portatori di questa ingiustizia sperando di convincere le persone a volgere il proprio sguardo ai negozi fisici per l’acquisto dei vestiti, che è sempre meglio e sicuro del risultato.

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