Guardando film come Avatar avrete visto rappresentazioni di meravigliose piante che al tocco si illuminano creando effetti meravigliosi e giochi di luce guizzanti. Questo genere di cose esiste anche fuori dalla magia di Hollywood, infatti pare che nell’oceano Pacifico sia possibile trovare un corallo nero che al tocco s’illumina. Nei giorni scorsi è stato trovato un esemplare simile anche vicino alle coste siciliane, a migliaia di chilometri dal suo habitat originario!
Generalmente nell’oceano Pacifico, specialmente in California, è possibile trovare questo tipo di corallo attorno ai 700 metri di profondità. Secondo gli esperti si tratta di “bioluminescenza“, la cui funzione è quella di attirare piccoli organismi marini fotosensibili utili alla crescita ed alla difesa del corallo stesso.
In questo caso invece questa specie è stata trovata ad una profondità di 270 metri nei pressi delle acque di Capo San Vito, ad ovest della Sicilia. Il ritrovamento è avvenuto mentre la nave oceanografica Astrea dell’Ispra, dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, stava conducendo nella zona una ricerca per tutt’altro motivo.
La rarissima specie era stata inizialmente scambiata per una assai simile, la Savalia savaglia (detta anche falso corallo nero), ma è poi risultato evidente che si trattava di tutt’altra cosa mentre veniva toccata e si apriva in una lieve luminescenza fosforescente. A quel punto gli studiosi hanno verificato la presenza di un substrato parassita che accompagna sempre il corallo nero, la gorgonia di profondità Callagorgia verticillata. Quando ne hanno accertato la presenza hanno lasciato libero l’entusiasmo.
La presenza di una specie così rara degli zoantidei nel Mediterraneo non era mai stata segnalata e potrebbe indicare che i mari della zona sono particolarmente puliti e dotati di un microclima adatto ad ospitare una specie come questa che richiede un habitat rigidamente fissato a certi parametri per sopravvivere.
La ricerca mirava inizialmente a studiare le popolazioni di corallo rosso nell’arcipelago delle Egadi ed era finanziata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. I ricercatori coinvolti erano dell’Università Politecnica delle Marche, l’Università di Pisa, ma anche gli atenei di Napoli “Parthenope” e Bologna e dei ricercatori dell’Ispra.