Nato per la prima volta negli USA la scorsa estate sulla scia del flash mob, la sua idea è giunta sin qui. Precisamente a Milano, per ora. Parliamo del fenomeno del cash mob. Trattasi di azioni di acquisto collettivo ideate da Christopher Smith, un ingegnere e blogger di Buffalo, e da Andrew Samtoy, un avvocato di Cleveland, nate per salvare quei piccoli negozi, dei quali spesso si ignora anche l’esistenza, che, a causa di una cattiva conduzione familiare o del particolare momento di crisi economica, rischiano di chiudere. Il cash mob si è tenuto lo scorso 5 agosto a Buffal, dove un centinaio di persone, radunate da Smith si sono riunite dinanzi ad un’enoteca della città e, acquistando ciascuna una bottiglia di vino, hanno salvato il piccolo negozio da una chiusura quasi certa.
Da allora il cash mob si è diffuso in altri stati del mondo, Svezia, Germania, Regno Unito sino a giungere anche in Italia. Le regole alla base del cash mob sono uguali per tutti. Innanzitutto l’organizzatore ha il compito di individuare un negoziante in serie difficoltà economiche per poi organizzare un incontro con delle persone che siano disposte a spendere a testa almeno 10-15 euro. Infine occorre trovare un bar o ristorante dove sostare, in modo da metterne in risalto anche l’aspetto sociale di conoscenza e confronto. Si prende poi “di mira” il negozio da aiutare e tutti vi entrano per acquistare, all’insaputa dell’ignaro venditore che vedrà nel suo piccolo negozio una piacevole folla di persone.
Per il primo cash mob italiano è stato scelto come negozio una piccola libreria a due passi da Corso Buenos Aires a Milano. Davvero una bella iniziativa dunque che con un piccolo aiuto collettivo può contribuire a risollevare le sorti delle piccole attività commerciali davvero a rischio di scomparire, inghiottite dalla concorrenza delle grandi catene commerciali. Una sorta di flash mob socialmente utile, dunque.