L’Egitto adesso non ha spazio ne per la pazienza, ne per la pietà. Folle di manifestanti inferociti si sono radunate all’entrata del processo di Hosni Mubarak, che verrà con ogni probabilità condannato a morte, come richiesto formalmente dalla procura generale. L’udienza sostenuta ieri dall’ex dittatore al Cairo non sembra lasciare spazio ad interpretazioni: la folla chiede sangue e la giustizia è pronta ad accontentarla.
Del suo stesso crimine, ossia di aver incitato le forze armate a sparare ed uccidere oltre 800 manifestanti in piazza Tahrir, è accusato anche il suo ex ministro dell’interno Habib El Adli, nonché sei ex responsabili della polizia egiziana. “L’accusa ha confermato che Mubarak, Adli e sei alti responsabili della sicurezza hanno aiutato e incitato a sparare” ha detto il procuratore generale Mustafa Suleimane. Ha anche poi aggiunto, calcando la mano: “ha anche deliberatamente rifiutato di cooperare con l’accusa, fatto grave per un uomo che si dichiara innocente”.
Oggi Suleimane ha presentato la sua requisitoria, con cui chiederà, ormai non c’è alcun dubbio, la massima pena prevista dalla legge egiziana, ossia quella capitale. Martedì scorso era ripreso il processo, interrotto per tre mesi durante l’estate, in cui l’accusa non è stata tanto morbida nei confronti dell’ex presidente egiziano: “un dirigente tirannico, che a falsificato la volontà del popolo egiziano nelle elezioni e che ha cercato di passare il potere al figlio Gamal. Mubarak ha diffuso corruzione, aperto la porta del potere ai suoi amici e sodali, ed ha ridotto il paese in rovina senza rendere conto a nessuno“.
Un’arringa abbastanza scontata, ma nondimeno convincente con alle porte migliaia di cittadini inferociti che non fanno altro che chiedere vendetta contro il tiranno decaduto. Nonostante tutto Mubarak non sembra essere impensierito, quanto sofferente. Probabilmente la sua vita si concluderà in modo inglorioso, ma forse ciò che importa all’83enne ormai malato e senza forze non è come, ma di farla finita e basta.