In Italia c’è un problema di dialettica fra politica ed imprenditoria, per cui nonostante siamo fra le 7 economie più importanti del mondo, riusciamo ad avere anche uno stato che non recepisce a pieno, o al massimo lo fa con forti ritardi, le necessità dell’economia. Se si escludono la firma dei trattati di “Maastricht” (risalenti al 1992) o il progetto “Industria 2015” (risalente al 2006), sono pochi gli interventi che lo stato italiano ha fatto per aiutare a coadiuvare, cioè fare un piano generale, dell’economia del paese.
La novità di questa problematica è che questo problema ha fatto nascere la così detta “questione settentrionale“, che non è una situazione speculare a quella meridionale (risultato di un processo storico di unificazione controverso), ma un problema di politica di decentralizzazione fatta nel modo più rozzo e stupido possibile, che piuttosto che periferizzare gli organi statali in modo da renderli più vicini ai cittadini, ne ha creato un duplicato regione per regione, allungando la burocrazia ed allontanando gli imprenditori dai politici ed in definitiva dallo stato stesso.
Un dato di fatto incontrovertibile è che il Nord dell’Italia detiene la maggior rilevanza economica (e di riflesso anche politica) del paese, parliamo del 74,4% del totale secondo fonti Istat; tuttavia questo dato non toglie che le imprese perdono competitività ed in particolare lo fanno proprio al Nord. Questo dato si registra ormai costantemente dal 1989, anno in cui inizia il programma politico della Lega Nord, la quale, guidata da Umberto Bossi, inneggia alla secessione e poi al federalismo.
Il vizio principale di questo modo di fare politica è appunto quello di duplicare le istituzioni, piuttosto che decentrarle, aumentando i costi, ma non solo. La direzione presa dalla politica dei governi Berlusconi, che di fatto hanno guidato il paese per la gran parte degli ultimi 20 anni insieme alla Lega, ha sempre di più slegato il Nord dal Sud spezzando un meccanismo fino a quel momento collaudato (per quanto non troppo etico).
Come è noto il Sud Italia è più povero e meno sviluppato, tendenza che per una sorte di ironia della sorte “costringe” lo stato ad investire di più a Nord perpetuando questa situazione; tuttavia anche il sud del paese necessita di servizi ed infrastrutture, che per quanto più carenti rispetto al settentrione non possono essere realizzate con le poche imprese del posto. Pertanto in Italia si instaurava un rimbalzo di denaro che per realizzare infrastrutture e servizi al Sud, mandava denaro al Nord. Un meccanismo, come già detto, non troppo etico, ma che di fatto sosteneva le imprese settentrionali in quei momenti in cui l’economia globale stringeva troppo la morsa con una competitività insostenibile.
L’azione di divisione operata dalla Lega Nord negli ultimi 20 anni ha spezzato sempre più questo meccanismo. Tagliando sempre più gli investimenti per il meridione e quindi impoverendo di riflesso anche la tanto decantata “padania“. Un esempio semplicissimo ed ancora molto recente è il Ponte sullo stretto di Messina, che avrebbe potuto non solo creare un collegamento fra Sicilia e Calabria tale da ravvivare l’economia del Sud come mai prima d’ora, ma anche arricchito enormemente le imprese del Nord chiamate a lavorarci (visto e considerato che per realizzare una simile impresa nessuna azienda del Sud avrebbe avuto i mezzi o dimensioni necessarie).
Dunque, perché l’Italia viene colpita dalla crisi più che Francia e Germania? Perché piuttosto che agire come un paese unitario, piuttosto che dare spazio ad una collaborazione fra regioni (un esempio è la reazione di molte regioni del settentrione al problema dei rifiuti campano), si è preferito incentivare con fondi e vantaggi una sola parte del paese, senza capire che in questo modo il ristagno già esistente non sarebbe stato affatto risolto, ma solo incoraggiato.
In definitiva, rifacendosi alle parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, pronunciate tante volte ed in tanti contesti diversi: “per superare la crisi sono necessari sicuramente dei sacrifici, ma se affrontati insieme, con lo spirito che ci accompagna con questo 150° anniversario dell’Unità d’Italia, questi sacrifici potrebbero essere più tollerabili per tutti e trasformarsi in un occasione per sentirci nuovamente accomunati da uno spirito di Unità e fratellanza”.