Si è auto-immolato a Ngaba, nella prefettura di Aba, in Tibet, un altro monaco tibetano. Il ragazzo aveva solamente 18 anni. Nagdrol, questo è il nome del giovane monaco, si è dato fuoco fuori a un monastero e, a causa delle gravi ustioni provocate dalle fiamme che hanno danneggiato i suoi organi vitali, è deceduto dopo poco tempo. Il diciottenne aveva spesso lanciato appelli a favore dell’indipendenza del Tibet, appoggiando spiritualmente anche il Dalai Lama. A comunicarlo una ong di appoggio all’indipendentismo tibetano. I monaci, e tante persone presenti sul posto che hanno assistito al suicidio di Nangdrol, hanno accerchiato il cadavere del giovane monaco per impedire alla polizia di prelevarlo: le forze dell’ordine, infatti, avevano esplicitamente richiesto la salma del ragazzo. La notizia è stata diffusa dal gruppo Campaign for Tibet.
In totale, si contano già una trentina di monaci che si sono tolti la vita tra il 2011 e il 2012 per una causa che per loro è di vitale importanza: rendere libero il proprio paese. Tali gesti estremi simboleggiano quanto la religione e la politica possano intrecciarsi profondamente anche per delle personalità religiose che prediligono l’isolamento, la spiritualità e la preghiera, piuttosto che il coinvolgimento nella vita politica e diplomatica della nazione. Aba è una zona al confine tra le regioni abitate da gruppi etnici tibetani e quelle abitate dagli han, che compongono la maggioranza etnica cinese. Gran parte dei monaci che si sono sacrificati fanno parte del monastero di Kirti, attorno al quale le autorità hanno creato un recinto, affinché nessun religioso potesse uscire dalla struttura. I bonzi, inoltre, sono stati inviati a campi di rieducazione.
Negli ultimi tempi, le tensioni in Tibet sono cresciute notevolmente in vista della commemorazione dell’anniversario della ribellione tibetana che portò all’esilio del Dalai Lama nel 1959. La ricorrenza, infatti, cade proprio nel mese di marzo.