Uno studio condotto da un team di ricercatori dell’Università di Yale, negli USA, ha rivelato che più si è stressati, tanto più si corre il rischio di diventare vittime della depressione. La ricerca è stata pubblicata anche su Pnas-Proceedings of the National Academy of Sciences.
I ricercatori hanno indotto la depressione in un gruppo di topi, privandoli di cibo e gioco e stimolandoli a cambiamenti continui del ciclo notte-giorno: “Questa operazione ha causato una forte diminuzione dell’attività del gene per la neuritina, proteina che gioca un ruolo fondamentale nella plasticità cerebrale e nella risposta alle nuove esperienze e al controllo degli sbalzi d’umore“, ha spiegato Ronald Duman, neurobiologo a capo dello studio sulla depressione.
La stanchezza psicofisica, il nervosismo e lo stress rischiano, dunque, di predisporre il nostro cervello alla depressione. Dalla ricerca è emerso, inoltre, come con il potenziamento dell’attività della neuritina si possa ottenere lo stesso risultato dei farmaci antidepressivi: “Questa proteina potrebbe essere utilizzata per la produzione di nuovi farmaci“, ha concluso Duman.
Resta da capire quanto, effettivamente, questi studi possano essere considerati attendibili:
“I test sugli animali sono un metodo inutile e dannoso, ma è ovvio: ogni specie animale ha un proprio genoma unico ed irripetibile. Questo comporta che ogni specie, un ratto, un topo, un cane o un uomo, reagisce in modo completamente diverso alla stessa prova. Prendiamo lo scimpanzé, la specie più vicina all’uomo fra quelle normalmente usate in laboratorio. Lo scimpanzé è assolutamente immune all’AIDS: il virus non gli fa nulla. Mentre, ad esempio, il suo fisico si comporta come il nostro col virus dell’Ebola. Vi rendete conto? Come si fa a validare un test su un’altra specie, quando le reazioni di questa variano di volta in volta dalle nostre?“.
Ha spiegato Claude Reiss, direttore di ricerca in biologia molecolare al CNRS.