Mario Monti lo aveva promesso nelle scorse settimane. Anche la Chiesa, così come ci impone l’Unione Europa, deve pagare l’imposta sugli immobili che abbiano anche solo parzialmente fine commerciale. In pochi credevano che il presidente del consiglio, molto vicino e gradito agli ambienti vaticani, potesse realmente mettere mano ai privilegi della Santa Sede. Oggi, dopo tante parole e fiumi d’inchiosto, la svolta. Il consiglio dei ministri, infatti, ha approvato un emendamento al decreto attualmente all’esame del Senato che prevede l’Imu (imposta comunale sugli immobili, già Ici) per tutti quegli edifici in cui si svolga, anche se non in via esclusiva, attività commerciale. Il provvedimento dell’esecutivo, naturalmente, non riguarda solo la Santa Sede, ma anche le altre confessioni, i sindacati, ecc. Le attività non lucrative resterebbero fuori dal decreto. Insomma, come vuole l’Europa, l’obiettivo è quello di evitare la concorrenza sleale.
La nota diffusa da Palazzo Chigi sottolinea come l’emendamento al Decreto Legge 1/2012, “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività ” ha effetti positivi sul gettito fiscale, “anche alla luce del più efficace contrasto di fenomeni elusivi ed abusi che ne deriva”.
“Tuttavia, in coerenza con il comportamento tenuto da questo Governo in casi analoghi, non si ritiene opportuno procedere ad una quantificazione preventiva delle maggiori entrate. Queste ultime saranno accertate a consuntivo e potranno essere destinate, per la quota di spettanza statale, all’alleggerimento della pressione fiscale. In ogni caso – si legge ancora nella nota diramata dalla Presidenza del Consiglio – vengono riconosciute e salvaguardate le attività non commerciali realizzate dagli enti sopra citati, tanto più meritevoli di considerazione nell’attuale congiuntura economica che impone misure di consolidamento fiscale”.
L’approvazione dell’emendamento del governo Monti dovrebbe consentire di chiudere positivamente la procedura di infrazione aperta dall’Ue nell’ottobre 2010. Insomma, o il nostro paese fa quanto ci impone l’Europa in materia di concorrenza, oppure ci becchiamo l’ennesima, pesantissima multa.