La contaminazione dopo l’incidente nucleare di Fukushima dopo lo tsunami che colpì il Giappone nel marzo scorso sono state pesantemente sottovalutate dal governo nipponico. Questo aveva rilasciato dei dati che hanno convinto la popolazione interessata che la situazione era seria, ma non così preoccupante come invece era in realtà. A dirlo sarebbe lo studio diffuso da un ricercatore Norvegese.
La fuga di materiale radioattivo sarebbero state molto più dannose di quanto annunciato secondo Andreas Stohl, ricercatore dell‘Istituto Norvegese per le Ricerche Atmosferiche. Le stime ufficiali risalenti a giugno parlavano della presenza di 1,1×1019 bescquerel di xeno 133 e di 1,5×1016 becquerel di Cesio 137.
Quest’ultimo in particolare provoca le maggiori preoccupazioni, infatti gli altri elementi vengono facilmente assorbiti dall’organismo umano e dell’ambiente, mentre il cesio provoca una contaminazione delle piante e ci metterebbe almeno 30 anni ad essere completamente assimilato. Il cesio è stato trovato perfino nel riso analizzato a campione dalle zone a rischio.
Secondo il ricercatore norvegese l’incidente avrebbe provocato il rilascio di 1,7×1019 becquerel di xeno 133, maggiore perfino di quella rilevata a Chernobyl (1,4×1019 becquerel), mentre per il cesio Stohl sostiene ci sia stata un’emissione di 3,5×1016 becquerel, ossia il doppio di quanto detto dalle stime ufficiali del governo del Giappone.
La discrepanza fra le due versione sarebbe dovuta però ad un maggior quantitativo di dati in suo possesso rispetto a quelli usati dai giapponesi per fare le prime stime, quindi non ci sarebbe stato (come ipotizzato da certa stampa) un intento di ingannare la popolazione da parte degli organi governativi. Stohl ha infatti usato i dati relativi alla radioattività presente nelle acque nell’oceano Pacifico spostatesi dal Giappone al nord America ed all’Europa, mentre il Giappone aveva considerato solo i dati della radioattività interna.
“Volevano far sapere qualcosa velocemente” ha detto il ricercatore norvegese usando una certa cautela nel sostenere l’erroneità delle stime giapponesi. Ha quindi spiegato che non bisogna pensare che ci fosse mala fede, purtroppo il quei momenti caotici e pieni di problemi che si sovrapponevano il governo ha fatto il meglio che ha potuto. Adesso però consiglia di usare i dati della sua ricerca per valutare seriamente le conseguenze sulla salute e le relative misure da mettere in campo per aiutare la popolazione interessata.