Decisione destinata sicuramente a dividere l’opinione pubblica quella di una giovane donna di 32 anni che, malata di una grave forma di anoressia, ha deciso di voler morire. Un giudice dell’Alta Corte d’Inghilterra, però, ha detto di no e ha stabilito per lei l’obbligo alla nutrizione forzata. Già due volte, l’anno scorso, la donna ha firmato dei moduli in cui chiedeva di non essere sottoposta ad alcun trattamento medico che la tenesse in vita.
Il caso della 32enne è finito in Tribunale, quando, a davvero un passo dalla morte, la donna continuava a rifiutare di essere alimentata. Il giudice Peter Jackson della Court of Protection ha così motivato la sua decisione: “Va nutrita a forza. Un giorno questa donna potrebbe scoprire di essere una persona speciale, la cui vita vale la pena di essere vissuta”.
La storia della giovane, della quale non è dato sapere il nome, può probabilmente andare a giustificare quella che è la sua condizione attuale. Un’infanzia costernata di abusi sessuali, proseguiti dai 4 agli 11 anni all’insaputa dei genitori. A 12-13 anni è diventata bulimica, ingurgitando quantità esagerate di cibo per poi indursi il vomito. Contemporaneamente, poi, ha iniziato anche ad abusare di sostanze alcoliche finendo, a 15 anni, in cura da un esperto di disturbi adolescenziali dell’alimentazione.
Ripresasi, la giovane ha studiato all’università per diventare medico, ma, dopo una brutta delusione d’amore ha ricominciato a bere, finendo, dal 2006 al 2011, ad essere sballottata da un centro all’altro per curare i disturbi dell’alimentazione e la dipendenza dall’alcool. Sorprendentemente, anche i genitori della ragazza appoggiano la sua volontà di morire, consapevoli della perdita di ogni speranza nel futuro da parte della figlia.
La decisione del giudice divide non poco gli animi delle persone. “Ha preso una decisione saggia e coraggiosa”, ha dichiarato Peter Saunders, direttore della campagna pro-vita Care Not Killing. “È una sentenza molto controversa. La nutrizione forzata comporterebbe immobilizzazione e sedazione, implicazioni molto pesanti per un paziente che riufiuta ogni cura, e in più senza la certezza di un successo. Si imporrebbe tutto questo a una persona che ha tutti gli strumenti per rifiutarlo” sostiene invece Evan Harris, ex parlamentare liberal democratico e membro del comitato etico della British Medical Association.