Il terribile attentato ad opera di una non ancora ben identificata organizzazione terroristica è avvenuto ieri nei pressi di uno dei luoghi più vicini ai palazzi del potere della capitale turca, piazza Kizilay, ed ha drammaticamente introdotto paura e disperazione in un paese musulmano considerato fino a pochi giorni fa immune al terrorismo di matrice islamica.
Durante la mattina di ieri tutto sembra normale e caotico come al solito in una della piazze più importanti di Ankara, la capitale della Turchia di Erdogan, ma qualcosa di terribile si preparava a sconvolgere la vita di numerose persone innocenti. Verso le 10;30 un minibus è esploso con violenza inaudita ed ha provocato la morte di 3 persone ed il ferimento di altre 34, di cui 3 molto gravi.
Secondo il racconto dei sopravvissuti l’onda d’urto avrebbe fatto perdere l’equilibrio anche a moltissime persone assai distanti dall’esplosione ed ha provocato il terribile spettacolo di vetri infranti che ha visto il distruggersi delle finestre e delle vetrine dei negozi di tutti gli edifici circostanti, fra i quali anche importanti edifici amministrativi. Le fiamme si sono propagate velocemente dal minibus alle auto vicine, provocando altre esplosioni prima che i pompieri potessero spegnerle e mettere la zona in sicurezza.
Questo terribile attentato non è stato ancora rivendicato, ma ha probabilmente matrice nell’estremismo islamico; sebbene possa apparire strano che uno stato prevalentemente musulmano venga attaccato da fondamentalisti della stessa fede non è così, infatti lo stato turco è ufficialmente laico ed è spesso stato criticato da esponenti di governi più religiosi per questo fatto. Un altro fattore che potrebbe rendere strano un attacco di estremisti islamici è il fatto che il governo turco sia più volte intervenuto, anche di recente, nelle dispute fra israeliani e palestinesi, a favore di questi ultimi.
Il premier Erdogan era in visita a Tripoli, dove era arrivato subito dopo le visite di Cameron e Sarkozy, ma ha immediatamente lasciato la Libia per tornare in patria e discutere in parlamento la gravissima situazione.