La scienza, grazie al alcuni studi, potrebbe essere molto vicina alla scoperta di una possibilità di cura per le malattie neurologiche, in particolare per la Còrea maior, nome scientifico della più comune Malattia di Huntington. Sembra che i fattori neutrofici, che svolgono un ruolo molto importante nello sviluppo e nella sopravvivenza dei neuroni, abbiano un potenziale terapeutico davvero notevole. Un team di ricercatori dell’ NsGene A/S di Ballerup della Danimarca, ha recentemente concluso una sperimentazione che ha permesso l’applicazione di un dispositivo chiamato Encapsulated Cell (CE) Biodelivery. Il dispositivo è stato impiantato grazie ad un intervento neurochirurgico e mini-invasivo di laboratorio, il quale ha evidenziato come tale strumento possa rivelarsi utile in futuro per la cura di diverse patologie che riguardano il cervello.
Ricordiamo che il morbo di Huntington è una malattia prevalentemente a trasmissione, degenerativa del sistema extrapiramidale e facente parte delle sindromi ipercinetiche. Normalmente, fa il suo esordio tra i 40 e 50 anni di vita, ma, seppur in piccolissima percentuale, può colpire anche le persone di età inferiore ai 20 anni. La malattia di Huntington giovanile è clinicalmente diversa da quella che colpisce le persone in età adulta e prevede forme di declino della capacità cognitiva, parkinsonismo, mioclono e convulsioni.
Già in passato alcuni studi avevano dimostrato che i fattori neurotrofici potevano rappresentare una terapia valida per tenere sotto controllo la sintomatologia del morbo di Huntington (movimenti incontrollati, disturbi emotivi e la perdita delle capacità cognitive) e il suo avanzamento. Il problema era quello di colpire direttamente i neuroni con questi protidi assicurando una terapia omogenea e funzionale.
Ora grazie a questo studio, pubblicato sulla rivista Restorative Neurology and Neuroscience, è stato ricostruito come gli scienziati guidati da Jens Tornøe siano stati in grado di portare a termine l’impianto dell’Encapsulated Cell (CE) biodelivery (una sorta di catetere ottenuto incapsulando una ponteggio polimerico, in gergo medico ”scaffold”) in una membrana a fibra cava.
L’artefice principale della ricerca ha così commentato i risultati degli esperimenti:
Il nostro studio fornisce un grande apporto alle sempre crescenti scoperte nell’ambito della preclinica e della clinica dei dati, proponendo il biodelivery CE come un promettente metodo terapeutico. Il CE unisce i vantaggi della terapia genica con la consolidata sicurezza di un impianto recuperabile.