Arrestati, finalmente “la giostra si è fermata”. In manette i cosiddetti “giostrai veneti”, così ormai erano definiti dagli inquirenti e dall’opinione pubblica. La banda, nota per la violenza usata nelle rapine, negli ultimi tempi ha dispensato terrore nel centro-nord Italia con violenti assalti a gioiellerie e banche.
L’operazione, condotta dalla Squadra Mobile della questura di Venezia, ha portato in manette tredici persone tra Veneto e Toscana, le due regioni maggiormente colpite dalle rapine dei “giostrai”. Per eseguire le ordinanze sono stati impiegati ben 150 agenti della Polizia di Stato.
L’indagine, era iniziata (anche se la banda aveva iniziato i suo colpi già tempo prima) l’11 agosto del 2010, quando durante l’ennesima rapina due dei componenti della banda avevano rapinato una gioielleria di Jesolo. Bottino di orologi Rolex per un valore di circa mezzo milione di euro. Dopo aver pestato violentemente il titolare, riducendolo in gravi condizioni, i malviventi si sono dati alla fuga grazie alle moto parcheggiate fuori. La banda, ormai era arrivata ad un livello di violenza estremo durante gli assalti.
L’infame gesto, o efferatezza, dipende purtroppo dal punti divista che si assume, mise immediatamente gli inquirenti sulla pista dei “giostrai veneti”. Dagli accertamenti sulle due moto di grossa cilindrata usate per la fuga, la polizia ha focalizzato l’attenzione su due “giovani giostrai” che erano in stretto contatto con una famiglia storica di rapinatori operanti nella provincia di Venezia. È così emersa l’esistenza di una vasta e articolata associazione per delinquere operante nel Nord Italia che, facendo affidamento su basisti, anch’essi giostrai, andavano a segno a colpo sicuro.
Ma la banda non aveva solo la violenza come elemento portante. Difatti, di notevole importanza il ruolo rivestito dalle donne all’interno del gruppo criminale: venivano usate come “pizzini”. Le componenti della banda avevano il compito di portaordini tra gli uomini, permettendo in questo modo agli indagati di comunicare, senza usare telefonini o internet. Inoltre provvedevano a versare su conti correnti bancari e postali parte del bottino degli assalti il cui valore ammonterebbe a circa 1 milione di euro, solo nel periodo del quale si è occupata l’indagine.
Molteplice le accuse: associazione per delinquere, rapina aggravata, furto, ricettazione, porto abusivo d’arma. L’indagine è seguita dalla Squadra Mobile di Venezia.