Condannato in Cina a nove anni dissidente ex leader piazza Tienanmen, Chen Wei, attivista dei diritti umani, il quale dovrà scontare una pena di nove anni di carcere. L’accusa? Sovversione. L’arresto di Chen é avvenuto lo scorso febbraio, ma l’uomo non è stato l’unico ad essere ammanettato: con lui, infatti, sono stati arrestati, infatti, anche diversi gruppi di attivisti, formati da decine di persone, che stavano cercando di organizzare varie manifestazioni contro il regime, proprio come è accaduto nei paesi arabi, con il vento di cambiamento e rinnovamento che ha scosso le popolazioni, da anni afflitte da cruente e sanguinose dittature.
L’attivista quarantaduenne è stato condannato, dalla corte di Suining, a scontare nove anni di pena, in quanto avrebbe agito contro il Partito Comunista cinese. Il processo, svoltosi in provincia di Sichian, si è svolto in sole tre ore, nelle quali i giudici hanno stabilito, velocemente, gli anni di detenzione che spettassero, appunto, a Chen, per tale oltraggio operato ai danni del regime dittatoriale. Ad aggravare la sentenza, soprattutto alcuni scritti dell’attivista, nei quali emergono posizioni anti-dittatoriali.
Nello specifico, all’attivista viene contestato il reato di “incitamento alla sovversione del potere dello Stato“. Chen, ovviamente, si è dichiarato innocente e ha dichiarato, mediante i suoi legali, che non presenterà appello. Secondo l’uomo, la democrazia riuscirà ad affermarsi sul potere dittatoriale e che è stato condannato solo perché ci sono delle manovre politiche in fondo a questa storia. Chen era stato imprigionato anche dopo le proteste di Tienanmen, nel 1989: in quel periodo, lui ed altri attivisti, firmarono un documento, denominato Charta 08, che chiedeva ai dittatori di riformare lo Stato. In Cina, tutto è posto sotto controllo: dall’educazione dei bambini, ai metodi di lavoro, fino ad arrivare al Web, in gran parte censurato per volere dei vertici del potere dittatoriale. Ci sarà mai una primavera cinese?