Il quarantaduenne americano Troy Davis, afroamericano per la cui salvezza si era mobilitata una campagna internazionale (pare ci fossero seri dubbi sulla sua colpevolezza), è morto, ucciso con un’iniezione letale. Ancora una condanna a morte nel carcere di Jackson in Georgia.
L’uomo era stato accusato di aver ucciso un agente di polizia in un parcheggio di Savannah nel 1989. “Sono innocente. Quello che è accaduto quella notte non è stato per colpa mia. Non avevo armi.” Queste la ultime parole che l’uomo ha pronunciato prima della sua esecuzione, eseguita alle 11 di ieri sera, “a coloro che si apprestano a togliermi la vita, che Dio vi benedica” ha detto subito prima che l’iniezione gli venisse praticata.
Durante l’ultima intervista che ha rilasciato ha chiesto che si andasse a fondo di quella faccenda e sebbene lui non potrà assistervi spera di essere, prima o poi, dichiarato innocente. Si conclude così la campagna portata avanti da Amnesty International e degli abolizionisti americani per salvare il quarantaduenne. La morte del poliziotto era avvenuta in circostanze tragiche, ma misteriose; infatti l’agente non era in servizio e voleva aiutare un barbone preso di mira da diversi scalmanati, fra cui Troy. La sua condanna a morte però aveva lasciato molti americani scontenti. William Session, ex direttore dell’Fbi ritiene che la sentenza sia molto affrettata ed unidirezionale, per cui aveva chiesto la grazie per Davis per scongiurare l’esecuzione di un uomo innocente. Non è servito a nulla e la sua richiesta è stata rifiutata.
Negli scorsi anni erano state fissate altre quattro date per l’esecuzione di Davis, ma si era sempre riusciti a rinviarle chiedendo che ci fosse un verdetto unanime da parte della giuria. I paesi che vogliono l’abolizione della pena di morte non si sono espressi sulla colpevolezza od innocenza di Davis, insistendo piuttosto che anche il peggiore degli uomini non può essere condannato a morte dallo stato. Il papa ha dedicato diverse parole alla vicenda ed una nota della santa sede è stata presentata all’ambasciata americana.