E’ stato fermato con l’accusa di omicidio preterintenzionale aggravato dalla finalità razzista l’uomo che avrebbe picchiato a morte Emmanuel Chidi Namdi, il richiedente asilo nigeriano deceduto lo scorso 5 luglio a Fermo, e insultato la sua compagna, Chinyery Emmanuel: si tratterebbe di Amedeo Mancini, 39 anni, imprenditore agricolo della zona nonché ultrà della Fermana conosciuto dalle forze dell’ordine e sottoposto a Daspo in passato. L’uomo ha cercato di difendersi spiegando di aver avuto l’impressione che Emmanuel e la donna stessero armeggiando vicino ad un’auto, e per questo sarebbe intervenuto insultando il nigeriano, che avrebbe reagito colpendolo anche con un paletto stradale, mentre lui si sarebbe difeso sferrandogli un pugno sul viso, risultato però fatale. Chinyery, invece, sostiene il contrario, ossia che Mancini avrebbe colpito la vittima con il paletto stradale, dopo aver gridato a lei “scimmia africana“ e averla strattonata, causandole alcune escoriazioni.
Secondo don Vinicio Albanesi, fondatore della comunità di Capodarco che ha ospitato il nigeriano e la sua compagna e che si è costituita parte civile, la versione di Mancini è stata “smentita dal referto medico” sullo stesso aggressore, dal quale risulta, ha spiegato il sacerdote al “Corriere Adriatico”, che egli “ha ricevuto solo un morso“. La dinamica dei fatti, insomma, sembrerebbe ancora incerta. Anche la principale testimone, Pisana Bacchetti, che ha avvisato per prima la polizia di quanto stava avvenendo, ha fornito agli inquirenti una versione diversa di quella poi resa al “Resto del Carlino”. La donna ha infatti detto alle forze dell’ordine che, una volta scoppiata la rissa, Emmanuel avrebbe colpito Mancini, facendolo finire a terra, e questi, poi, avrebbe sferrato un pugno all’indirizzo del nigeriano, uccidendolo. Al quotidiano bolognese, invece, la testimone ha parlato di “un vero e proprio pestaggio del trentanovenne fermano“, che “per quattro o cinque minuti è stato attaccato simultaneamente dal giovane di colore e da sua moglie. Lui (Emmanuel) addirittura lo ha colpito con un segnale stradale trovato nei pressi facendolo cadere a terra”.
La cittadina marchigiana, del resto, si divide tra chi considera Mancini, da sempre simpatizzante di estrema destra, una persona aggressiva, ma buona d’animo, e chi, invece, lo ritiene una mina vagante, per questo don Albanesi ha sostenuto che l’episodio rientra in “un magma di violenza, frustrazione, esibizionismo“, in parte favoriti da “un clima melmoso“, come gli attentati con ordigni esplosivi davanti alle chiese di Fermo, che per lui sono stati causati dallo “stesso giro”. Il premier Matteo Renzi ha telefonato al sacerdote esprimendo vicinanza per la morte del cittadino nigeriano ed annunciando la presenza, giovedì mattina a Fermo, del ministro dell’Interno Angelino Alfano, che ha presieduto il comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza pubblica in Prefettura. Renzi ha poi scritto su Twitter: “Il Governo oggi a Fermo con don Vinicio e le istituzioni locali in memoria di #Emmanuel. Contro l’odio, il razzismo e la violenza“.
Alfano ha annunciato che “la commissione competente ha concesso alla compagna del migrante ucciso a Fermo lo status di rifugiata“, ricordando che ella aveva già sostenuto a maggio l’esame per il riconoscimento di tale status, dato che lei ed Emmanuel, dopo essere riusciti a scappare dalle persecuzioni ai cristiani in Nigeria, hanno subito altre violenze in Libia e sono riusciti ad arrivare in Italia dopo una difficile traversata, durante la quale Chinvery ha perso il bambino che teneva in grembo, per poi diventare “promessi sposi” grazie a don Albanesi, che, non potendo celebrare un vero e proprio matrimonio per motivi burocratici, ha ripreso l’antica istituzione della promessa di matrimonio. La donna, ora, “sta male, è sconvolta“, ha riferito chi l’assiste nel seminario vescovile di Fermo, dove era ospite assieme a Emmanuel, e chiede “che venga fatta giustizia”.