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La bugia più grande dell’anno è americana

La bugia più grande dell’anno è americana

È tempo di fare bilanci essendo ormai prossima la fine del 2012. Ed è tempo di farli anche in ordine a quelle che sono state le bugie più colossali dell’anno che volge al termine. Ebbene, quella che può essere definita la bugia dell’anno è stata pronunciata dallo sconfitto candidato repubblicano alla Casa Bianca Mitt Romney, nel corso della sua campagna elettorale in vista delle presidenziali dello scorso novembre. Essa è stata selezionata dai responsabili di PolitiFact, un progetto di fact-checking gestito dal Tampa Bay Times di St. Petersburg, in Florida, ed avente come obiettivo quello di verificare l’aderenza alla realtà delle dichiarazioni fornite da “membri del Congresso, dalla Casa Bianca, dai lobbisti e da altri gruppi di interesse”. L’elezione della bugia dell’anno avviene dal 2009 e il progetto sembra essere alquanto attendibile per la verifica dei fatti.

Nel corso di un comizio elettorale nell’Ohio, Mitt Romney disse che “Jeep, ora controllata dagli italiani, pensa di spostare tutta la sua produzione in Cina” a danno dei lavoratori statunitensi. Questa voce era circolata su un blog conservatore, ripresa da Drudge Report, ma smentita rapidamente da Jeep, uno dei marchi di Chrysler. Tuttavia, i responsabili della campagna di Romney portarono  avanti la cosa e realizzarono anche uno spot televisivo sul presunto piano di Sergio Marchionne, amministratore delegato di FIAT e di Chrysler, che avrebbe dunque trasferito la produzione delle auto in Cina.

Ad ogni modo, la bugia di Romney era pur partita da un fondo di verità. La Chrysler ha ricevuto in prestito miliardi di dollari dal governo federale mentre attraversava una profonda crisi economica, tanto che nel 2009 fu costretta a dichiarare fallimento e, con la mediazione della Casa Bianca, la società passò sotto il controllo di Fiat, avviandone un duro processo di ricostruzione. Le cose iniziarono a migliorare e soprattutto per la Jeep  furono avviati dei piani di espansione di alcuni stabilimenti in modo da aumentare la produzione delle auto, a causa di una domanda in crescita non solo negli USA.

L’obiettivo di Chrysler era quello di rilanciare i propri marchi all’estero e pertanto avrebbe preferito produrre i veicoli direttamente nel paese in cui li avrebbe poi venduti. Lo scorso 22 ottobre, su Bloomberg, circolò la voce secondo cui la Chrysler stesse per riavviare la produzione di Jeep in Cina. Tuttavia, era ben chiaro che, sebbene la società stesse pensando di espandere la propria presenza commerciale in Cina, nessun stabilimento negli Stati Uniti avrebbe dovuto chiudere.

Dopo la pubblicazione di quest’articolo, il blogger conservatore Paul Bedard pubblicò un post nel quale era citato scorrettamente il pezzo di Bloomberg e nel quale veniva detto: “Chrysler sta pensando di lasciare perdere gli Stati Uniti per spostare la propria produzione in Cina”. Secondo il blogger, ciò avrebbe portato alla rovina la città di Toledo, Ohio, dove ha sede uno dei maggiori stabilimenti della società.

Romney, in un dibattito del 25 ottobre in Ohio, disse che avrebbe combattuto per ogni posto di lavoro in America e che solo in tal modo il Paese avrebbe potuto vincere. Sebbene i responsabili della campagna elettorale continuarono a sostenere che Jeep avrebbe trasferito la produzione in Cina, preparando addirittura uno spot elettorale trasmesso su diverse emittenti dell’Ohio, i media evidenziarono immediatamente l’entourage di Romney che aveva accusato Obama di voler vendere la Jeep agli italiani, i quali l’avrebbero costruita in Cina.

Intervenne anche lo stesso Sergio Marchionne, il quale disse: “Gli stabilimenti continueranno a produrre negli Stati Uniti e costituiranno la spina dorsale del marchio. Non è accurato dire cose diverse da questa”. Così Romney, che avrebbe voluto mettere in cattiva luce Obama, riuscì a fare l’inverso. Lo staff del Presidente rispose con uno spot nel quale si metteva in evidenza la bugia di Romney, dimostrando che anzi, grazie all’aiuto del Governo, Jeep aveva aumentato il numero dei propri dipendenti negli USA.

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