Tante le immagini violente e sessualmente esplicite quelle che stanno invadendo il popolare social network di Zuckerberg. Su Facebook, infatti, stanno circolando foto porno a gogo: si sospetta che sotto questa massiccia diffusione di immagini a luci rosse ci sia la mano di Anonymous, gruppo di attivisti e hacker senza volto, che segue un codice morale molto rigido che escluderebbe, però, l’uso della pornografia. Facebook, dal canto suo, scende in campo e afferma di essere a conoscenza della situazione in cui versa la piattaforma e che, quanto prima, gli sviluppatori miglioreranno la sicurezza del social network: “Proteggere gli utenti dallo spam e dai contenuti dannosi è una delle priorità più importanti per noi. Stiamo lavorando per migliorare i nostri sistemi per isolare e rimuovere i materiali che violano le condizioni di utlizzo del sito.
Bisogna tutelare gli utenti iscritti, anche perché le foto osé si pubblicano, in automatico, sulle bacheche. Anonymous aveva annunciato che l’attacco al popolare sito era previsto per il 5 novembre, ma c’è stato un cambiamento di programma e la “sorpresa” degli hacker è arrivata oggi. La responsabilità dell’attacco non si dovrebbe ricercare nel gruppo in generale, ma in una cellula di Anonymous che si troverebbe in conflitto col nucleo centrale. Il sottobosco hacker, dunque, sarebbe in fermento e non intenderebbe più sottostare alle regole impartire dall’alto. I contenuti veicolati su Facebook, visibili nella bacheca pubblica, dove si vedono gli aggiornamenti dei singoli utenti, raffigurano immagini porno di star del settore o di personaggi dello show-biz. Il più modificato è Justin Bieber, spesso mostrato in pose erotiche, dai tratti femminili.
Quelle che toccano però la sensibilità degli utenti sono soprattutto quelle immagini che hanno come soggetto principale animali abusati. Non si è ben capito attraverso quali modalità tali contenuti siano stati diffusi all’interno della piattaforma: si ipotizza che gli hacker abbiano introdotto dei virus nei profili con una password semplici e deboli, facilmente indentificabili, o attraverso dei link, che, se cliccati, iniziavano l’installazione di codici modificati. Sono solo supposizioni che potrebbero spiegare, anche sommariamente, come gli hacker hanno bucato diversi account.