Il ministero degli Esteri del Giappone ha confermato la morte dell’inviata Mika Yamamoto, 45 anni. La giornalista è morta a seguito di uno scontro armato ad Aleppo, nel nord della Siria, tra i ribelli e le forze fedeli al governo di Bashar al Assad. La Yamamoto lavorava per The Japan Press, un’agenzia di stampa attiva in documentari e notizie e specializzata soprattutto sul Medio Oriente, Asia sud-occidentale. Secondo quanto emerge da internet, la giornalista vantava anche esperienze di inviata in Afghanistan e Iraq durante la guerra del Golfo. Già nel 2003, la Yamamoto sfuggì per miracolo al bombardamento del ‘Palestine Hotel’ di Baghdad da parte di un carro armato americano. Il reportage fatto relativamente all’esperienza da lei vissuta le valse il premio ‘Vaughn-Ueeda’, una sorta di premio “Pulitzer” giapponese.
Nella stessa circostanza è morto anche un giornalista turco, disperso da ieri ad Aleppo, ma del quale non si conoscono ancora le generalità. La notizia della morte della Yamamoto è stata riportata anche, in una intervista telefonica alla tv pubblica, la Nhk, da Kazutaka Sato, collega sia di viaggio che di testata della giornalista morta e che è stato testimone oculare della tragedia. Queste le sue parole:
Yamamoto è stata uccisa con ogni probabilità dal fuoco dei militari di Assad. Abbiamo visto un gruppo di persone in tuta mimetica correre verso di noi e sembravano soldati governativi. Hanno sparato a caso a soli 20-30 metri di distanza o anche da più vicino.
Il capitano Ahmed Ghazali, combattente ribelle, ha attribuito la responsabilità della morte della Yamamoto all’esercito del presidente Bashar Assad e ha dichiarato in un video che circola sul web: “Accogliamo volentieri ogni giornalista che voglia entrare in Siria, garantiamo sicurezza all’ingresso ma non siamo responsabili delle brutalità delle forze di Assad contro i media. Spero che i Paesi che non sono mossi ad agire dal sangue siriano lo saranno dal sangue della loro gente”.