Trascorsi 67 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, oggi celebriamo in Italia, per la dodicesima volta, la giornata della Memoria.
Fu Tullia Zevi, la storica Presidente delle Comunità Ebraiche, scomparsa lo scorso anno, a suggerire in Parlamento la data del 27 gennaio per tale ricorrenza (come, peraltro, di recente evidenziato da Furio Colombo ne Il Fatto Quotidiano, ove asserisce, a proposito della Shoah, che ‘dal viaggio della memoria non si esce indenni’), e a collaborare alla stesura della relativa succitata Legge istitutiva n. 211 del 20 luglio del 2000 – di cui Colombo, come noto, è stato redattore – che, nei lavori preliminari, stabiliva come data del ricordo il 16 ottobre, giorno dell’anniversario della deportazione degli ebrei del ghetto di Roma.
Il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, in occasione della giornata della Memoria, ha esortato i giovani alla cultura dell’accoglienza e del rispetto delle diversità, e ha posto l’attenzione su quanto osservato da Primo Levi: ‘Se capire è impossibile, conoscere è necessario’.
L’art. 2 della Legge istitutiva di cui sopra, prevede, non a caso, che in occasione del 27/1 siano organizzate cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione – soprattutto nelle scuole – in riferimento a quanto accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo della Storia, affinché simili eventi non possano mai più accadere. Oggi, in ossequio alla suddetta disposizione normativa, nel nostro Paese le iniziative sono innumerevoli. Fantastico. Staremo a vedere.
Ora, aldilà dei fatti che hanno segnato tragicamente un capitolo della Storia e la cui conoscenza è auspicabile ancorché non scontata, varrebbe la pena, forse, soffermarsi a pensare alle conseguenze di ciò che è stato: sulla nostra società, sulla opinione pubblica, sui sommersi e sui salvati, sulle nuove generazioni. Eppure lottiamo ancora contro il negazionismo. Perché?
Anna Arendt, ne La banalità del male, racconta che Eichmann, convinto di non essere un innerer Schweinehund, e cioè di non essere nel fondo dell’anima un individuo sordido e indegno davanti alla morte, dichiarato ‘normale’ dagli psichiatri del tempo, e non animato da un fanatico antisemitismo, trovò persino una frase da usare per l’orazione funebre. ‘Sotto la forca la memoria – scrive L’Autrice – gli giocò l’ultimo scherzo: egli si senti “esaltato” dimenticando che quello era il suo funerale. Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana gli aveva insegnato – la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male’.
Scrive il Talmud (come osserva, peraltro, Erri De Luca, in Alzaia ove fa sovente riferimento al popolo ebraico): ‘I cardini reggono le porte, e le prove reggono l’uomo’. Una prova durissima. Oltre ogni limite. Il 27/1/2012 ricordiamo – anche ai nostri figli, se ne abbiamo – ciò che è stato, per non dimenticare. Per non ripetere più. La Storia non ha alcun obbligo di essere interessante per tutti, ma ha l’obbligo d’insegnare.
Di questa Storia, della Shoah, varrebbe la pena, in conclusione, avere la forza di ricordare le parole di Levi, ancora una volta, almeno per oggi:
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate, tornando a sera,
cibo caldo e visi amici.
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato: vi comando questa parole.
Scolpitele nel vostro cuore stando in casa, andando per via,
coricandovi, alzandovi,
ripetetele ai vostri figli
o vi si sfascia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.