La Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo ha rimesso in discussione la legge 40 sulla fecondazione assistita. La Corte ha infatti bocciato la parte della normativa che riguarda l’impossibilità per una coppia fertile, ma portatrice sana di fibrosi cistica di accedere alla diagnosi pre-impianto degli embrioni. La decisione della Corte Europea diventerà definitiva entro 3 mesi se nessuna delle parti vi farà ricorso. In sostanza la Corte ha sottolineato che “il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente“, dal momento che un’altra legge, in Italia, permette alla coppia di accedere a un aborto terapeutico qualora il feto venga trovato affetto da fibrosi cistica.
I sette magistrati hanno pertanto condannato lo Stato italiano a pagare 15mila euro per danni morali e 2.500 per le spese legali per la violazione del diritto al rispetto per la vita privata e familiare di Rosetta Costa e Walter Pavan. I due, dopo aver scoperto di essere portatori sani di fibrosi cistica, avevano deciso di fare ricorso alla fecondazione in vitro per poter effettuare test genetici sull’embrione prima dell’impianto, in modo da poter escludere la trasmissione della malattia. Questa possibilità è però vietata dalla legge 40. La Corte ha fatto riferimento anche della sentenza del tribunale di Salerno che il 13 gennaio 2010 autorizzò, per la prima volta in Italia, una coppia fertile portatrice sana di atrofia muscolare spinale ad accedere alla diagnosi genetica preimpianto e alle tecniche di procreazione assistita. Si sottolinea, però che fu un caso isolato.
Non è la prima volta che la Corte Europea si pronuncia sulla legge 40. Nel 2010, la Corte stabilì che la fecondazione eterologa non poteva essere impedita in quanto sarebbe stato violato l’art. 8 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Articolo che risultava in contrasto con l’art. 4 della legge 40 che in Italia sancisce il divieto di diventare genitori con l’aiuto del seme di un donatore o di un ovocita di una donatrice.