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Direzione Pd, si al “Jobs Act” ma è ancora scontro

Direzione Pd, si al “Jobs Act” ma è ancora scontro

La direzione del Pd ha approvato ieri sera con 130 voti a favore, 20 contrari e 11 astenuti, l’ordine del giorno sulla riforma del lavoro promossa dal governo, il cosiddetto “Jobs Act”. Hanno votato a favore la maggioranza e i “giovani turchi”, mentre l’Area riformista si è divisa, e una parte si è astenuta, mentre l’altra ha votato contro. Il documento prevede l’impegno a sostenere l’esecutivo su diversi punti: una rete più vasta di ammortizzatori sociali per i precari; una riduzione delle tipologie contrattuali, a cominciare dai Co. co. pro, favorendo il lavoro a tutele crescenti; una disciplina dei licenziamenti economici che sostituisca il procedimento giudiziario con l’indennizzo e non con il reintegro. Il reintegro rimane per il licenziamento discriminatorio, e il premier ha concesso che sia previsto anche per motivi disciplinari.

Renzi aveva dato mandato al vicesegretario Lorenzo Guerini di trattare con la minoranza per un documento finale comune, ma alla fine la mediazione è saltata, quindi, una volta che la direzione ha deciso, ha spiegato il segretario, “da oggi tutti dovranno adeguarsi“, perciò, ha aggiunto, “mi piace pensare che in Parlamento si voti tutti allo stesso modo”. Prima della votazione si è tenuto un lungo dibattito, con un confronto serrato tra il premier e i suoi oppositori. Renzi, che in mattinata aveva incontrato al Quirinale il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha preso la parola chiedendo di votare “un documento  che segni il cammino del Pd sui temi del lavoro e ci consenta di superare alcuni tabù che ci hanno caratterizzato in questi anni”. Per il segretario, è necessaria “una profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare”.

Quanto al confronto interno al Pd, Renzi ha spiegato:Non siamo un club di filosofi ma un partito che discute e si divide ma decide e all’esterno è tutto insieme. Chi non la pensa come la segreteria non la pensa come i Flinstones. Chi la pensa come la segreteria non è emulo di Margareth Thatcher“. A chi lo accusa di fare solo annunci, ha replicato dicendo di aver intrapreso “uno straordinario processo di riforme”, e ha ribadito: “riformare il diritto del lavoro è sacrosanto”. Per il premier, occorre inoltre “avviare una riforma dello statuto che estenda a tutti il welfare e elimini contratti come i co. Co. Pro”. Renzi si è infine detto disposto a confrontarsi con i sindacati su tre punti: “una legge sulla rappresentanza sindacale, la contrattazione di secondo livello e il salario minimo”.

I sindacati si sono detti pronti al confronto, ma per la Cgil la linea del premier sull’articolo 18 rimane “ancora vaga, incerta e contradditoria”. La Uil, invece, ha minacciato: “Se si toccano le tutele di chi già ce le ha e non si prevedono tutele crescenti per chi non le ha, sarà sciopero generale”. In direzione, intanto, Massimo D’Alema ha attaccato il segretario dicendo: “Meno slogan, meno spot e un’azione di governo più riflettuta credo possa essere la via per ottenere maggiori risultati”. Duro anche Pierluigi Bersani, che ha affermato: “Raffreddiamo la testa, dobbiamo affrontare i problemi del paese. Noi sull’orlo del baratro ci andiamo per il metodo Boffo e non per l’articolo 18, se uno dice la sua lo deve dire senza che gli sia tolta la dignità“.

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