Si celebra oggi la Giornata Internazionale della Donna e in occasione di un 8 marzo funestato da scioperi in tutta Italia, scopriamo a che punto è arrivata l’emancipazione femminile che passa inevitabilmente anche attraverso le parole e i termini utilizzati quotidianamente.
Insomma la parità sociale passa attraverso la grammatica e se in Italia la presidente della Camera Laura Boldrini sembra essere particolarmente attenta a contrastare la resistenza culturale invitando tutti i deputati a rispettare la parità di genere linguistica utilizzando titoli declinati al femminile, anche l’Accademia della Crusca consiglia di aggiornarsi.
Ma come si comportano gli altri Paesi e qual è il loro approccio con l’evoluzione della lingua in merito alle donne? Il punto della situazione arriva da Babbel, la app per parlare le lingue, che analizza lo stato dei termini utilizzati quando una donna arriva a ricoprire ruoli istituzionali fino a qualche tempo fa ricoperti solo ed esclusivamente agli uomini.
Germania
Scopriamo così che in Germania esiste la possibilità di declinare al femminile il nome aggiungendo un suffisso al termine maschile, normalmente -in. Questo quotidianamente però perché nei titoli accademici però resta ancora in uso il termine maschile preceduto da un “Frau” cioè signora.
In sostanza il titolo accademico di “Dottore di ricerca” sarà “Frau Doktor” e non “Doktorin”. La Merkel si definisce Frau Bundeskanzlerin (Cancelliera).
Francia
In Francia la tradizione linguistica è durissima a morire. L’Académie française si oppone ufficialmente alla declinazione al femminile di generi maschili. Bocciati quindi a priori i termini Ministra o Sindaca. Non si dice Ministra, ma si aggiunge Madame per un Madame le ministre, signora il ministro.
Brasile
I prefissi in portoghese offrono la possibilità di effettuare una distinzione tra maschile e femminile, ma ci sono una serie di professioni storicamente appannaggio degli uomini che non hanno ancora un suffisso femminile. L’ex presidentessa del Brasile Dilma Roussef ha però deciso di scegliere la versione al femminile “a presidenta” offrendo una connotazione politica non indifferente.