L’azienda multinazionale fondata in Svezia da Ingvar Kamprad è al centro di una nuova bufera: IKEA ha, infatti, deciso di cancellare le donne dai propri cataloghi presenti in Arabia Saudita. Si potrebbe quasi giocare a “Trova le Differenze” nelle due immagini messe l’una accanto all’altra: in una, la famiglia al completo si trova in un bagno arredato IKEA nella propria casa ma, nell’altra foto – quella diffusa in Arabia – manca la moglie-mamma all’appello, che è stata prontamente rimossa dal quadretto familiare.
L’azienda specializzata nella vendita di mobili, complementi d’arredo ed altra oggettistica per la casa ha deciso di eliminare le donne dai propri cataloghi, dopo che l’immagine – decisamente innocente – non è andata a genio al mercato dell’Arabia Saudita, che ha preteso che la mamma venisse eliminata dalla foto. IKEA non se l’è fatto ripetere due volte, ha pensato ai profitti dell’azienda e ha rimosso la donna dal proprio catalogo, lasciando nell’immagine il marito da solo con i due figli maschi.
In Arabia, le donne non possono lavorare, viaggiare, studiare o addirittura ricevere cure mediche senza il consenso di padri o mariti e, probabilmente, la paura è stata quella che la foto in questione potesse “accendere spiriti di indipendenza“, come afferma il Corriere. Già in passato, nel novembre del 1994, proprio il Corriere della Sera ricordò il passato filonazista del fondatore di IKEA; mentre altre proteste e discussioni riguardo al trattamento salariale dei lavoratori IKEA sono avvenute in diverse parti del globo sin dal 2002 quando, in Francia, si arrivò anche ad uno sciopero. Successivamente, fu la volta del Canada e dell’Italia sempre a causa dei bassi salari, licenziamenti pare ingiustificati e lettere di richiamo e certificazioni dei medici aziendali sulle condizioni di salute dei lavoratori spesso in contrasto con quelle dei dottori delle ASL. La maggior parte delle fabbriche di IKEA si trova, inoltre, in Vietnam, Bangladesh ed India, dove le lavoratrici lavorano fra le 80 e le 90 ore settimanali e ricevono uno stipendio al minimo legale: 37 euro al mese in India, 11 euro al mese in Bangladesh e 43 euro al mese in Vietnam.
Adesso, in Arabia è invece la volta della censura: “Siamo aperti a tutte le famiglie“, si leggeva in un manifesto dell’azienda diffuso l’anno scorso, che ritraeva due uomini di spalle che si tenevano per mano; IKEA aveva, infatti, ribadito la sua posizione contro “ogni discriminazione di razza, genere, religione, età o orientamento sessuale” ed ora fa marcia indietro? Immediata è arrivata la reazione della Svezia:
“Non si possono cancellare le donne dalla realtà, non permettendo loro di essere viste, o sentite, o di lavorare. L’Arabia Saudita spreca metà del suo capitale intellettuale“.
Ha affermato il ministro del Commercio, Ewa Bjorling. Anche il ministro svedese per l’Europa, Birgitta Ohlsson, ha espresso la propria opinione su Twitter, affermando che si tratta di un atteggiamento “medievale“. Dunque, la decisione dell’IKEA è stata percepita come “un cedimento nei confronti di un Paese che discrimina le donne“, ha scritto il Corriere. La società proprietaria del marchio IKEA, l’Inter IKEA Systems, ha dichiarato che l’azienda svedese sta indagando sulla questione.
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