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Giornata internazionale della donna e un pensiero sulle violenze

Giornata internazionale della donna e un pensiero sulle violenze

Mimose regalate, striptease in discoteca,  slogan vuoti, commemorazione di storie più o meno fantasiose: questa è la “festa della donna” media, così erroneamente spesso definita in Italia. La giornata internazionale della donna ricorda le conquiste della donna attraverso la storia, che siano a carattere politico o sul fronte della discriminazione. Servono anche a ricordare le violenze subite nel corso degli anni ma che ancora oggi, purtroppo, vengono loro perpetrate.

È proprio il tema della violenza uno di quelli che riscuote troppo poco successo a livello di sensibilizzazione. Ciò non lo si evince soltanto dai numeri a dir poco allarmanti, ma anche dal modo in cui certe persone trattano l’argomento, lasciando intuire che il loro pensiero sullo stupro ritenga quest’atto quasi poco più che uno sgarbo o un dispetto verso chi lo subisce. Chi non ha mai sentito dire un “vabbè, ma se l’è cercata”, “grazie, si mette quella minigonna che copre a malapena il sedere” o ancora “se si ubriaca poi non si lamenti”? Pronunciate non soltanto da persone di sesso maschile, ma anche da quelle ragazze che hanno avuto la buona sorte dalla loro se non hanno mai sperimentato un trauma del genere. Vi immaginate questi pareri espressi da gente che ha tra i suoi cari una vittima? Conversazioni del tipo “mia mamma è stata violentata all’uscita dal supermercato” – “mi spiace, dev’essere un trauma terribile!” – “vabbè, ma aveva la gonna, se l’è cercata”? Il fatto che una mentalità del genere sia radicata in una fetta della nostra popolazione deve far riflettere su quanto il tema delle violenze sia in realtà troppo sottovalutato. Vorrei quindi portare all’attenzione delle statistiche, riportate da Wikipedia e condotte da ISTAT e ricerche scientifiche, che sicuramente possono aiutare a comprendere non solo quanto sia grave la situazione sulle violenze in Italia, ma anche quanto lo sia ciò che accade nella mente di una vittima.

  • tra le vittime di stupro, un terzo cade in una grave depressione
  • il 17% delle vittime di stupro è arrivato a suicidarsi
  • rispetto a donne che non hanno subito violenze, le vittime di stupro hanno possibilità maggiori di 3-4 volte di iniziare a fumare marijuana, 6 volte maggiori di far uso di cocaina e 10 volte maggiori di far uso di droghe ancora più pesanti
  • il 23,5% degli stupri viene perpetrato da parte di amici, mentre il 15,3% da parte di colleghi/datori di lavoro
  • stando ai dati ISTAT, tra le vittime di stupro, soltanto l’8,4% afferma di aver denunciato la violenza subita: le ragioni dell’omessa denuncia possono ricondursi alla scarsa fiducia nelle istituzioni, ma soprattutto alla paura di non essere credute, di esser giudicate male, della vergogna e del senso di colpa.
  • i casi di stupri in Italia raccolti dalle forze dell’ordine, stando ai dati del 2010, sono di circa 4800 all’anno e sono quasi raddoppiati nell’arco dell’ultimo decennio.

Senza contare la consistente crescita dei casi di violenze negli ultimi anni, c’è da notare come sia spaventoso il potenziale numero degli stupri mai denunciati alle autorità, dato che si parla di 4800 casi denunciati all’anno contro il 92% circa mai segnalato. Agghiacciante è anche la percentuale di vittime che arriva a suicidarsi, che la dice lunga sullo stato in cui entrano le vittime in seguito ad un evento del genere. Un comportamento che le induce ad autodistruggersi, portandole a darsi colpe inesistenti e non riuscire a perdonarsele, a vergognarsi di sé stesse, a sentirsi sporche.

Per chi procura tutto ciò, come stabilito dalla Cassazione in una sentenza di un anno fa, non c’è l’obbligo di carcere come misura di custodia cautelare. La pena prevista dalla legge è una condanna alla reclusione da 5 a 10 anni (da 6 a 12 con aggravanti). Per chi stupra in gruppo, talvolta, c’è lo sconto comitiva: il Tribunale di Firenze ha condannato sei stupratori a 4 anni e 6 mesi, pena addirittura aggravata dal fatto che la vittima era ubriaca. Queste sono, sul territorio italiano, le condanne medie di un reato che, per ciò che provoca, dovrebbe essere quantomeno equiparato all’omicidio. Non esiste lo stupro colposo, non esiste lo stupro preterintenzionale, non esiste lo stupro del consenziente (vedi eutanasia). Lungi dal voler giustificare omicidi o motivazioni che conducono ad esso, una riflessione su ciò che differenzia questi due atti è doverosa: non c’è stupro indotto dall’ira, dalla gelosia e da sentimenti che ognuno nella vita ha potuto provare sulla propria pelle. Lo stupratore fa qualcosa di disumano consciamente, unicamente per il proprio piacere, noncurante di star rovinando la vita ad una persona, il tutto per quei minuti di piacere che una persona con un minimo di umanità – senza togliere orgoglio e amor proprio – non riuscirebbe mai a provare in una situazione del genere. Non c’è minigonna che tenga: la differenza la fa la mente di chi riesce anche solo a pensare ad un atto del genere.

Con tutto ciò cosa voglio dire? I soliti consigli – certamente non inutili – che si possono trovare a riguardo è di mettersi in condizione di potersi difendere. Corsi di autodifesa, spray al peperoncino, girare il più possibile accompagnati e in zone non isolate: tutte indicazioni che possono servire nell’immediato e nella società di cui facciamo parte attualmente. Il mio personale consiglio è invece di provare, nel quotidiano, a fare la vostra piccola parte per far cambiare idea anche alla persona che riterrete la più ottusa di tutte. Al bar qualcuno dirà “quella ragazza se l’è cercata”? Qualcuno lo dirà su Facebook? Intromettetevi e dite la vostra, fate loro capire perché sbagliano. Non curatevi del fatto di passare per impiccioni: martellateli. Se fino ad oggi avete sempre pensato “far ragionare questa persona è inutile”, pensate che qualunque persona sulla terra possa cambiare opinione, dovete amare la polemica e il confronto. Anche quando l’interlocutore sembrerà non recepire il vostro messaggio, nella sua testa potrà scattare quel qualcosa che gli farà pensare “forse il pensiero che ho avuto finora è una cazzata” e sicuramente non lo saprete mai, ma questo potrebbe fare la differenza. Potremmo tutti auspicare a pene di 20 anni per uno stupro brutale, ma una pena non restituirà mai la vita di prima alla vittima e non si può sperare che un fenomeno diminuisca senza provare a cambiare la mentalità comune.

L’augurio che faccio alle donne è quindi questo: vi auguro di non essere mai vittime di un abominio del genere ma auguro anche, ad ognuno di voi, di riuscire a cambiare anche solo un singolo pensiero e che, nel suo piccolo, faccia fare un passo avanti.

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