Svelare l’omosessualità di una persona, senza avere il suo consenso, è reato. L’omosessualità è “una situazione di fatto riconducibile alle scelte di vita privata” e che, giustamente, “non ha alcun rilievo sociale“. La Cassazione ha così annullato con rinvio una sentenza in cui il gup di Ancona aveva prosciolto il direttore di un giornale locale, perché “il fatto non sussisteva“. Sul periodico, era stato pubblicato un articolo – pur mantenendo l’anonimato della persona in questione – in cui si parlava di un uomo a cui era stata addebitata la separazione dalla moglie, perché aveva una relazione omosessuale.
La Cassazione ha, dunque, deciso che pubblicare determinate informazioni – senza prima avere il consenso della persona interessata – è diffamazione in tutto e per tutto, in quanto l’omosessualità riguarda una persona e non si può neanche invocare il cosiddetto “diritto di cronaca“. L’articolo potrebbe, infatti, aver violato la privacy della persona in questione e, quindi, la reputazione della stessa.
“Ai fini dell’individuabilità dell’offeso, non occorre che l’offensore ne indichi espressamente il nome, ma è sufficiente che l’offeso possa venire individuato per esclusione in via deduttiva, tra una categoria di persone, a nulla rilevando che in concreto l’offeso venga individuato da un ristretto numero di persone“, si legge nella sentenza, dopo che la Suprema Corte – quinta sezione penale, sentenza n.30369 – ha accolto il ricorso della parte civile, che non si è arresa.
La persona offesa ha, infatti, affermato – sin dall’inizio – che la sua reputazione è stata compromessa dall’articolo pubblicato sul giornale locale perché, anche se il suo nome non era stato reso noto, è stato identificato facilmente come il protagonista dell’accaduto. Non è difficile immaginare con che facilità ciò possa, effettivamente, accadere. La sentenza è stata depositata oggi, dunque il giudice del tribunale di Ancona dovrà esaminare nuovamente il caso, che aveva concluso con il proscioglimento dell’imputato.