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La preside trasforma il bidello in facchino personale: condannata, resta al suo posto

La preside trasforma il bidello in facchino personale: condannata, resta al suo posto

Ma hanno idea, i nostri politici, di cosa sia realmente il mondo del lavoro? Davvero pensano che i problemi siano i presunti privilegi di operai e pensionati? Il principio di ogni male è realmente l’articolo 18? Sono tutte domande che ci si deve porre di fronte a storie emblematiche come quella che andiamo a raccontare. Storie che dimostrano – se ce ne fosse bisogno – come il paese sia in mano a caste intoccabili. Caste che possono permettersi qualsiasi sopruso e che restano saldamente al loro posto. Con buona pace di parole come merito, trasparenza e legalità nella pubblica amministrazione.

Prendete Anna Maria Gammeri. La sua professione è quella di dirigente scolastico in un liceo di Messina. Pensate che le donne si comportino molto diversamente dagli uomini quando hanno in mano il potere? Macché, pura retorica. Nel 2005 la Guardia di Finanza, dopo una segnalazione anonima, inizia a indagare sulla professoressa Gammeri. Che fa, costei? Usa un collaboratore scolastico, Nicola Gennaro, come se fosse il suo facchino personale.

Il bidello le fa da autista (la preside ha la patente, ma non è particolarmente incline a guidare), le fa la spesa, va in banca a sbrigare commissioni. La magistratura accumula abbastanza elementi di prova per rinviare a giudizio il dirigente scolastico. La Gammeri, nonostante le pressioni del sindacato Gilda, non viene rimossa dal suo incarico. Dimissioni? Non se ne parla nemmeno, siamo in Italia.

Il processo è lentissimo. Le udienze vengono rimandate una dopo l’altra: per arrivare alla prima ci vorranno ben sette rinvii. Intanto tutti gli insegnanti, i bidelli e i tecnici che avevano testimoniato a carico della preside, per timore di ripicche, chiedono e ottengono il trasferimento in altra scuola. E il ministro dell’istruzione? Come se non ci fosse. Non si costituisce nemmeno parte civile, ovvero non si sente danneggiato dalla vicenda.

Il 24 ottobre 2011 la sentenza, ben 5 anni dopo il rinvio a giudizio. Il giudice monocratico Bruno Sagone condanna la Gammeri a 10 mesi di carcere e 400 euro di multa. Punito anche il collaboratore scolastico: per lui 7 mesi e 300 euro di pena pecuniaria. Grazie al condono del 2006 nessuno dei due ha dovuto pagare per i reati commessi. Non solo. Entrambi sono tranquillamente al loro posto.

Chissà cosa pensano i ministri di questa vicenda tutta italiana. Che sia colpa dell‘articolo 18? Battute a parte, non possiamo non notare come i nostri ministri siano bravissimi nell’attaccare, se non insultare, giovani, studenti, pensionati e lavoratori. Sui soprusi della caste, invece, silenzio assoluto.

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