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Iraq, strage di civili a Baghdad: 57 morti e 179 feriti

Iraq, strage di civili a Baghdad: 57 morti e 179 feriti

A soli 4 giorni dal ritiro dell’ultimo soldato Usa dal suolo iracheno, nella capitale Baghdad continua a scorrere sangue. Un serie di attentati coordinati, circa 12, si sono susseguiti stamattina provocando, secondo il bilancio provvisorio almeno 57 morti e 150 feriti. Ennesima strage di civili, dunque. Le aree colpite sono quelle dei quartieri di Allawi, Bab al-Muatham e Karrada; al nord quelli di Adhamiyah, Shouala e al-Shab, a est Jadriyah, a ovest al-Ghazaliyah, e al sud al-Amil e Doura. La strage peggiore si è registrata nel centro, nella zona di Karrada, dove è esplosa un’autobomba. Le aree sarebbero accomunate dal fatto di essere abitate da persone di prevalente confessione sciita.

Per il momento non c’è stata alcuna rivendicazione di paternità degli attentati, ma il livello di organizzazione e di coordinamento sembrerebbero essere riconducibili ad Al-Qaeda. Quello di questa mattina è il secondo peggior attentato che ha investito Baghdad dallo scorso 15 agosto, quando esplosioni in 17 diverse città provocarono 74 morti e più di 200 feriti. Le esplosioni coincidono con quella che è una gravissima crisi politica in atto nel Paese, aggravandosi lo scontro tra sunniti e sciiti. Nel corso degli ultimi giorni è stato spiccato un mandato di cattura nei confronti di uno dei due vice presidenti, il sunnita Tareq al-Hashemi, a causa di presunte attività terroris tiche, avendo al suo servizio uno squadrone della morte. Il premier Nouri al-Maliki, sciita moderato, ha ingiunto al governo autonomo del Kurdistan di consegnare Hashemi alle autorita’ centrali, chiedendo poi le dimissioni di uno dei suoi vice, Saleh al-Mutlak, anch’egli sciita. Al-Mutlak appartiene al cartello “Iraqiya” lo stesso di al-Hashemi: la colpa di Mutlak sarebbe quella di aver definito il governo a conduzione sciita una vera e propria dittatura. Il tutto mentre Iraqiya ha intrapreso il boicottaggio dei lavori parlamentari e governativi, inducendo il Primo Ministro a cacciare via i membri che facciano capo a tale partito.

 

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