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Caso Moro, il procuratore di Roma chiederà gli atti alla Procura

Caso Moro, il procuratore di Roma chiederà gli atti alla Procura

Il procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli, interpellato dall’Ansa, ha fatto sapere che chiederà oggi stesso gli atti alla Procura di Romaper le opportune valutazioni” sul presunto coinvolgimento di agenti dei servizi segreti nelle fasi del sequestro di Aldo Moro. Ciampoli ha spiegato: “E’ stato impropriamente fatto riferimento alla mia funzione per riportare opinioni personali di altri. Nel mio ruolo di Procuratore Generale di Roma, informo che oggi stesso chiederò gli atti relativi alla vicenda di cui si parla per l’esercizio di tutti i poteri attribuitimi dall’ordinamento”. Domani, invece, i pm romani ascolteranno Enrico Rossi, l’ex ispettore di polizia ora in pensione che ha rivelato l’esistenza di una lettera scritta presumibilmente da uno dei due uomini che la mattina del 16 marzo 1978 si trovavano sulla moto Honda presente in via Fani a Roma.

Nella missiva, arrivata al quotidiano “La Stampa” nell’ottobre 2009, l’autore spiegava di essere ammalato di cancro e di aver disposto che essa venisse recapitata almeno sei mesi dopo la sua morte, e rivelava: “La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di ogni genere”. L’anonimo suggeriva anche: “provate a parlare con chi guidava la moto, è probabile che voglia farlo”, e forniva elementi per risalire al guidatore della Honda, il nome di una donna e di un negozio a Torino. La lettera arriva a Rossi, una vita passata nel terrorismo, nel febbraio 2011 in modo casuale, non protocollata, e su di essa non vengono fatti accertamenti. ma gli indizi per risalire al presunto guidatore della moto erano piuttosto precisi.

Secondo uno dei principali testimoni di via Fani, l’ingegner Marini, quell’uomo assomigliava nei tratti del viso ad Eduardo De Filippo, mentre il presunto autore della lettera era dietro, con un sottocasco scuro sul volto, armato con una piccola mitraglietta, ed avrebbe sparato ad altezza d’uomo verso l’ingegner Marini che, con il suo motorino, stava entrando sulla scena dell’imminente agguato. L’ispettore Rossi ha spiegato di aver cercato di fare ulteriori accertamenti, ma di essere stato subito ostacolato, e di aver allora provato a fare semplicemente un accertamento amministrativo sulle due pistole regolarmente dichiarate di cui l’uomo era in possesso: “Vado nella casa in cui vive con la moglie ma si è separato. Non vive più lì. Trovo una delle due pistole, una beretta e alla fine, in cantina poggiata o vicino ad una copia cellofanata della edizione straordinaria de “La Repubblica” del 16 marzo con il titolo “Moro rapito dalle Brigate Rosse”, l’altra arma“.

Sarebbe una pistola a canna molto lunga che può essere scambiata da chi non se ne intende per una piccola mitragliatrice. Rossi chiede allora di interrogare l’uomo, che si era trasferito in Toscana, ma non può farlo, e chiede di far periziare le due pistole, ma questo non avviene. Dopo alcune tensioni con il suo ufficio, l’ispettore, nell’agosto 2012, decide di andare in pensione, a 56 anni, pur ritenendo che si sia persa “una grande occasione”. Alcune settimane dopo, una “voce amica” lo informa che l’uomo della moto è morto e che le pistole sono state distrutte.

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